sabato 11 settembre 2021
La scrittrice tedesca al Festivaletteratura presenta “Dio non è timido”: narra le vicende di due giovani siriani, già privilegiati, che sono costretti alla fuga
Olga Grjasnowa

Olga Grjasnowa - Boato

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A un certo punto, per completare il quadro, Olga Grjasnowa estrae dalla borsa un libro di piccolo formato. Il titolo è in tedesco, Wurzneln (“Radici”), l’autore è l’antropologo italiano Maurizio Bettini. «È un saggio illuminante – afferma la scrittrice –, spiega benissimo il mondo che cerco di rappresentare nei miei romanzi». Un mondo multiculturale, a dir poco. E sicuramente multilingue. Come questa giovane narratrice nata a Baku, in Azerbaigian, e arrivata in Germania con la famiglia nel 1996. «Ho iniziato a studiare tedesco all’età di undici anni – ricorda –. Parlo ancora correntemente il russo, ma non me ne potrei mai servire per scrivere. Per me è una questione di grammatica, non di interiorità. Ho perso dimestichezza con l’ortografia, non sarei sicura di usare le espressioni più efficaci. I miei figli frequentano una scuola bilingue a Berlino e ormai mi sembra che il loro russo sia più corretto del mio». In casa, in effetti, le lingue che si parlano sono almeno tre, dato che con il marito, l’attore siriano Ayham Majid Agha, la conversazione avviene abitualmente in inglese. «Che è diventata un’altra dimensione della mia vita affettiva», ribadisce la scrittrice, affermatasi già con il suo romanzo d’esordio, Tutti i russi amano le betulle, uscito in Germania nel 2012 e pubblicato in Italia da Keller nel 2015. Presso lo stesso editore, e sempre nella traduzione di Fabrizio Cremonesi, Dio non è timido (pagine 304, euro 18,00), che l’autrice ha presentato al Festivaletteratura in dialogo con la giornalista siriana Hala Kodmani. Entrambi i romanzi toccano, in modo più o meno diretto, i nodi del Medioriente. «Ma senza che lo avessi messo in conto – avverte Grjasnowa –. Il mio intento era semmai quello di riflettere sull’identità, una realtà sempre più complessa, nella quale confluiscono tante componenti diverse. L’identità, secondo me, è una conquista personale e non può essere imposta come appartenenza collettiva. Eppure è proprio quest’ultima concezione che sta diventando sempre più popolare in Germania. Ogni volta che qualcuno si proclama “un vero tedesco”, non posso fare a meno di domandarmi di che cosa stia parlando». Per capire quali possano essere le conseguenze, si può tornare a sfogliare Tutti i russi amano le betulle, dove a un certo punto si incontra un immigrato turco che, dopo oltre quarant’anni trascorsi in Germania, scopre improvvisamente di essere diventato un musulmano agli occhi dell’opinione pubblica. «L’aspetto più inquietante – insiste la scrittrice – è che nel parlare comune un aggettivo come “musulmano” ha perso quasi del tutto la sua connotazione religiosa per trasformarsi in epiteto razzista. Questa confusione di piani, questa volontà di ridurre la complessità dell’altro a un singolo elemento, questa semplificazione a oltranza non è di per sé una novità, purtroppo. La storia del Novecento lo mostra con chiarezza: è così che cominciano le persecuzioni, è qui che occorre intervenire per impedire ulteriori catastrofi». Il fronte più delicato rimane quello dell’immigrazione. Nella fattispecie, Dio non è timido è costruito sulle vicende parallele di due giovani siriani, il chirurgo Hammoudi e l’attrice Amal, che una tappa dopo l’altra perdono la loro condizione di relativo privilegio, fuggono dal loro Paese, attraversano il mare su un gommone e, dopo essere transitati per l’Italia, si stabiliscono in Germania. «La loro trasformazione in profughi avviene gradualmente, per passaggi quasi impercettibili – sottolinea Grjasnowa –. Da principio sono persone come le altre, con preoccupazioni e aspettative non troppo differenti da quelle che si immagina possa avere il lettore. Ecco, per me il punto è questo: i profughi non sono mai profughi e basta, i rifugiati non lo sono da sempre e, in ogni caso, non lo saranno per sempre. Siamo noi a costringerli in questa definizio- ne di comodo, come in un cliché che permette di maneggiare i loro drammi senza lasciarcene coinvolgere. Alla fine, il maggior vantaggio che si trae da questo confinamento in una categoria indistinta consiste nella gestione della paura. Ciò che non si conosce può spaventare, d’accordo, ma proprio per questo bisognerebbe evitare di scaricare le proprie paure addosso all’altro, straniero o profugo che sia. Vivo in Germania da molti anni e mai prima d’ora avevo percepito un clima di intolleranza tanto accentuato. Risultati elettorali a parte, l’impressione è che nella società sia in atto una svolta reazionaria, alimentata anche dalla scarsa consapevolezza culturale di molti. Un ruolo non marginale, purtroppo, lo gioca la mancanza di iniziativa comune dell’Unione Europea su una questione cruciale come questa dei fenomeni migratori». Olga Grjasnowa ammette di avere un rapporto non facile con la religione. «Vengo da una famiglia ebrea, so che anche questo fa parte della mia personalità, ma di sicuro non sono praticante – riassume –. Il titolo Dio non è timido, però, riprende un verso del Corano. Allude alla durezza della punizione, una prerogativa divina che, da Stalin in poi, molti tiranni hanno rivendicato per sé».

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