martedì 16 maggio 2023
Nel nuovo romanzo al centro le fucilazioni per reati militari, spesso dopo processi sommari, durante la Prima guerra mondiale. Quasi un giallo in cui si riconosce una traccia autobiografica
Soldati francesi nelle trincee di Verdun, luglio 1917

Soldati francesi nelle trincee di Verdun, luglio 1917 - Ecpad

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La Prima guerra mondiale, l’«inutile strage» è ancora tra noi. Segna la biografia della nazione e le memorie familiari con le sue pagine di eroismo, i lutti. Ma anche con le troppe atrocità. È una vera e propria discesa nel cuore di tenebra della Grande guerra quella che Giovanni Grasso, consigliere per la stampa e la comunicazione del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, propone con Il segreto del tenente Giardina (Rizzoli, pagine 224, euro 19,00). Il libro sulla guerra del ‘15-‘18 segue quelli che Grasso ha già pubblicato con lo stesso editore: su un processo a sfondo antisemita nella Germania nazista ( Il caso Kaufmann, 2019) e sull’antifascista Lauro De Bosis ( Icaro, il volo su Roma, 2021). Tutti romanzi in cui Grasso mette frutto la sua formazione di storico. Questa terza fatica, che l’autore presenterà dopodomani al Salone del libro di Torino, si caratterizza sia per l’intreccio tra passato e presente nel nome di una quest storica, familiare e sentimentale, sia per l’oggetto della ricerca, molto caro all’autore.

Alla fine di quello che è una vera e propria trama gialla si arriva, infatti, a squarciare il velo su un fenomeno legato alla Grande guerra che ha faticato a entrare nella coscienza nazionale e tuttora è poco noto: le fucilazioni per reati militari di oltre mille soldati a opera di plotoni di commilitoni, spesso improvvisati e dopo processi sommari. Alla luce della radura si arriva per sentieri fitti di tracce, allusioni, velati riferimenti. Anche se chi è frequentatore delle pagine di questo giornale ricorderà una serie di articoli – scritti a partire dal 2014, centenario della guerra, proprio da Grasso e dal quirinalista di Avvenire Angelo Picariello – che hanno suscitato su questa tragica pagina di storia un dibattito culturale e politico che dura da dieci anni. La narrazione procede per alternanze temporali e di luogo, tra le pagine in prima persona tratte dal diario del tenente eponimo e il presente, raccontato da un narratore esterno. È nell’oggi che la vicenda passata riprende vita. Luce Di Giovanni, giovane architetta di Tivoli residente a Parigi, dove convive con un collega francese, torna a casa per il funerale dell’amatissima nonna Nietta.

Questa in una lettera le lascia un compito da assolvere alla propria morte: scoprire il luogo dove è sepolto il padre, Antonio Crespi, caduto nel 1916, pochi giorni dopo la nascita di Nietta e portarvi un fiore. Impresa improba, apparentemente. È passato un secolo, ricorda un’archivista alla giovane quando inizia a fare luce ( nomen omen) sui fatti e trova le prime difficoltà. Grazie alla sua caratteristica “tigna” l’architetta-detective riesce a contattare il giornalista Marco Grillo, nipote del tenente Gaetano Giardina, che del bisnonno Antonio era il superiore nella brigata Tevere, impegnata contro gli austriaci sul dolomitico Passo San Pellegrino. I due iniziano la lettura del diario e si accorgono che manca proprio la parte che riguarda i giorni in cui il contadino Antonio, sempre lodato nel diario per la sua abnegazione, è morto. Mistero nel mistero, ricercando nel quaderno dei resoconti di giornata della brigata, alla data della morte del bisnonno di Luce non risultano caduti. Ma la pagina è visibilmente contraffatta (per mano di Giardina, si scoprirà). Cosa ha nascosto l’ufficiale? E perché? Luce e Marco iniziano allora un viaggio che li porta come prima tappa in Sicilia, regione di origine della famiglia Giardina-Grillo.

In un’atmosfera pirandelliana (il riferimento è esplicito sin dall’esergo, tratto dai Sei personaggi in cerca d’autore) incontrano una vecchia zia di Marco, Maridda. Un personaggio minore, insieme a quello della badante sudamericana che parla un curioso “sicignolo”. Ma ben riuscito anche perché alto era il rischio, abilmente evitato, di cadere nel folkloristico. Maridda – un po’ andata di testa, ma lucida al momento opportuno – custodisce carte e segreti di famiglia: oltre a quelli del tenente, anche uno che getta luce sul suicidio del padre di Marco, l’evento traumatico della sua vita. Una verità trovata per serendipità, cercandone un’altra. Già, la verità. Storica e letteraria. Luigi Pirandello è il nume tutelare della narrazione, come detto. Mentre i fatti storici prendono pian piano il ritmo dell’attualità, sfociando in un’inchiesta giornalistica che Marco Grillo conduce per il suo giornale, la testata cattolica “Il Futuro” (nome che suona familiare). A completare la somiglianza tra personaggio e autore stanno altri piccoli particolari, come l’aver avuto entrambi il critico Walter Mauro come docente a scuola o la comune passione per la montagna.

D’altra parte il bilancio di verità e finzione Grasso lo presenta esplicitamente alla fine: « Per quanto di episodi analoghi se ne trovi, purtroppo, più di una traccia nella dolorosa storia della Grande Guerra, non risultano casi di giustizia sommaria nella brigata Tevere durante la permanenza al Passo San Pellegrino. Il diario del tenente non è mai esistito ed è frutto di immaginazione. Non esattamente così la rimanente parte del libro». Ma è nel diario di fantasia che Grasso, tramite la penna di Giardina, offre uno spaccato realistico di cosa fu quella logorante guerra di posizione. Morti su morti per espugnare un picco montuoso inaccessibile. Storie sì di cameratismo fra soldati analfabeti e di provenienze diverse, ma anche di delatori, arrivisti e fanatici. Come alcuni generali, autori di atrocità in nome della disciplina. Il tenente Giardina racconta – con la prosa nitida di chi ha studiato legge all’università – di ordini incomprensibili o velleitari, di gesta eroiche e di confronti faccia a faccia con il dilemma: uccidere o essere uccisi. Come quando dopo aver abbattuto un giovane soldato austriaco al tenente resta il rimorso. Antonio gli ricorda che la guerra riduce gli uomini a bestie e fa loro dimenticare di essere tutti figli di Dio e lui si chiude nel silenzio, non riuscendo a contrapporgli la stantia retorica del dovere militare. La sopravvivenza è legata a un giro di roulette.

E tra i numeri può uscire lo zero, che – dice Giardina – significa morire per fuoco amico. Il quale può anche essere non involontario, ma frutto di un’ingiustizia ammantata di giustizia. E quando si tratterà di prendere le difese di un umile davanti al sopruso l’avvocato-tenente Giardina lo farà. Invano. Il suo segreto in fondo è quello di aver mentito per salvare l’onore di un altro. Perché in fondo sapeva che per i morti fucilati come Antonio a fine guerra ci sarebbero stati il disonore e l’oblio. Se non la riabilitazione di massa, almeno la verità storica e la memoria sono i capisaldi della battaglia che Luce, dimentica di Parigi, e Marco, sciolto il nodo del passato, porteranno avanti insieme. E non da soli.

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