mercoledì 22 aprile 2020
Ritorna di attualità il tema di un governo mondiale, sorto subito dopo la guerra: il bene comune universale non può essere assicurato da una responsabilità politica frammentata. Un cammino però arduo
Una costituzione mondiale: da utopia a realtà?

Juliana Kozoski / Unsplash

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Le gravi difficoltà planetarie, che non si riducono a quelle attuali della pandemia, e che sono messe impietosamente allo scoperto dal processo di globalizzazione dominato da tecnica e finanza, fanno affiorare il tema assolutamente primario di un governo politico della famiglia umana, in nome della comune umanità che non tollera discriminazioni, rifiuto della solidarietà e della fratellanza. Riemergono le questioni dell’unità politica mondiale, della pace perpetua, di istituzioni comuni aventi responsabilità a raggio mondiale. Tra innumerevoli ostacoli avanza la consapevolezza di un bene comune planetario dell’umanità e di beni comuni, che devono esseri assicurati allo stesso livello: è l’immensa questione di un’autorità politica mondiale o, come anche si dice, di una costituzione mondiale.

Pochi mesi fa si è formata in Italia l’associazione “Costituente terra” che persegue tale obiettivo. Domenica 5 aprile l’inserto “La lettura” del “Corriere” ha ospitato un articolo di Sabino Cassese dal titolo “Il sogno di una costituzione mondiale”, in cui l’attenzione si rivolge in specie al tragitto politico e intellettuale di Giuseppe Antonio Borgese, che dall’Italia si trasferì in Usa negli anni ’30.

Borgese fece parte sin dall’inizio del comitato per la redazione di una costituzione mondiale, presieduto dal presidente dell’università di Chicago, Robert Maynard Hutchins, e composto da poco più di dieci membri che lavorò dal novembre 1945 al luglio 1947, preparando il progetto di una costituzione mondiale. Il gruppo tenne rapporti con persone esterne tra cui Jacques Maritain e Luigi Sturzo. Il testo fu pubblicato in varie lingue, e in italiano dalla Mondadori nel 1949, ma non ebbe grande accoglienza: era già cominciata l’epoca della guerra fredda.

Il lavoro non fu però inutile. Nel 1949 Maritain tenne alcune lezioni presso l’università di Chicago che formarono poi L’uomo e lo Stato, uno dei classici del pensiero politico novecentesco. In quest’opera l’autore dedica un capitolo a “Il problema dell’unificazione politica del mondo” che si riassume negli obiettivi di una pace permanente, nel superamento della sovranità degli Stati (severamente criticata) e nella formazione di un’autorità politica mondiale, garante della pace e della giustizia tra i popoli.

Non presento qui l’elaborazione maritainiana, che si differenzia alquanto da quella kantiana sulla pace perpetua. Mi interessa un altro elemento d’immenso rilievo: nel promulgare nell’aprile 1963 l’enciclica Pacem in Terris , Giovanni XXIII dedica profonda attenzione alla messa in opera di Poteri pubblici e Istituzioni a raggio planetario. Nella parte IV del testo il papa scrive: «Il bene comune universale pone ora problemi che non possono essere adeguatamente affrontati e risolti che ad opera di Poteri pubblici aventi ampiezza, strutture e mezzi delle stesse proporzioni; di Poteri pubblici cioè che siano in grado di operare in modo efficiente su piano mondiale. Lo stesso ordine morale quindi domanda che tali Poteri vengano istituiti».

La prospettiva è stata rilanciata da Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate (2009). È impensabile che la soluzione ai problemi globali che sono ulteriormente cresciuti possa essere trovata senza un grande progetto che conduca ad un’autorità politica globale: «Urge la presenza di una vera Autorità politica mondiale, quale è stata già tratteggiata dal mio Predecessore, il Beato Giovanni XXIII. Una simile Autorità dovrà essere regolata dal diritto, attenersi in modo coerente ai principi di sussidiarietà e di solidarietà, essere ordinata alla realizzazione del bene comune, impegnarsi nella realizzazione di un autentico sviluppo umano integrale ispirato ai valori della carità nella verità. Tale Autorità inoltre dovrà essere da tutti ricono- sciuta, godere di potere effettivo per garantire a ciascuno la sicurezza, l’osservanza della giustizia, il rispetto dei diritti». Essa, che oltrepassa ma non cancella il livello dello Stato e/o quello di unioni politiche regionali, è necessaria in quanto esiste un bene comune universale che non può essere assicurato da una responsabilità politica frammentata.

Questo dislivello strutturale è forse la più grave causa del disordine mondiale. Il cammino verso un’autorità politica mondiale, da non intendersi come un Superstato e ancor meno come un impero mondiale, ma ricorrendo ai principi di sussidiarietà e solidarietà, è un itinerario lungo e arduo. Nonostante tutto dovrebbe imporsi se l’umanità globalizzata per il bene e il male, intenderà sopravvivere. Intanto un certo cammino può essere compiuto, e già lo è stato, mediante la creazione di organismi mondiali in campi fondamentali quali l’economia, la salute, il commercio, il cibo: Fmi, Banca Mondiale, Wto, Oms, Fao ne sono esempi, mentre sull’ambiente bisognerebbe procedere a istituirlo. Non ci si inganni però, in quanto tali organismi spesso sono indirizzati dalle potenze dominanti. Il loro arrancante e precario funzionamento, in specie durante le crisi più gravi, è uno dei motivi della paura e della chiusura che colpiscono popoli e nazioni, conducendoli al nazionalismo e al sovranismo sotto la spinta di capi politici incapaci di guardare oltre.

Su questi nuclei il compito dell’Europa dovrebbe essere primario e l’appello di papa Francesco il giorno di Pasqua è chiaro. L’Europa è risorta dopo il 1945 grazie a un intento di unione per superare le rivalità passate: «È quanto mai urgente, soprattutto nelle circostanze odierne, che tali rivalità non riprendano vigore, ma che tutti si riconoscano parte di un’unica famiglia e si sostengano a vicenda. Oggi l’Unione Europea ha di fronte a sé una sfida epocale, dalla quale dipenderà non solo il suo futuro, ma quello del mondo intero».

Da anni le ragioni del multilateralismo e dell’universalismo si sono gravemente indebolite. Alcune frasi del discorso del presidente Trump all’assemblea generale dell’Onu (24 settembre 2019) rappresentano il clima che si diffonde: «Il futuro non appartiene ai globalisti. Il futuro appartiene ai patrioti. Il futuro appartiene alle nazioni sovrane e indipendenti», chiaro invito a far pesare la propria forza sulle ragioni dell’equilibrio, e rilancio del primato dello Stato nazionale. È dunque ancor più necessario riprendere il progetto di un “costituzionalismo globale”, capace di creare istituzioni sovranazionali, e infine mondiali, di garanzia. Esse avrebbero il compito di controllare l’implementazione dei patti internazionali e del relativo diritto in ambiti vitali come l’ambiente, la corsa agli armamenti, l’istruzione, i diritti sociali, la lotta alle diseguaglianze, il contrasto alla tratta di esseri umani e alla criminalità internazionale. Qualcosa di analogo ai compiti svolti dall’Oms e dalla Fao nei loro campi rispettivi.

Jürgen Habermas ha parlato di “politica interna del mondo” e in Italia Luigi Ferrajoli ha sostenuto che il costituzionalismo ha un futuro solo se allargato oltre lo Stato. Le istituzioni di garanzia perseguono infatti fini universali nei modi prestabiliti dalla legge e dal diritto internazionali, e contribuiscono a limitare i poteri assoluti. Ma è proprio in questo campo che il cammino è più arduo, poiché mancano quasi completamente leggi di attuazione e di controllo, e il vecchio dogma della sovranità è lungi dall’essere superato.

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