sabato 17 settembre 2022
A colloquio con lo storico della letteratura evolutiva: «Il racconto ideologico e in negativo degli eventi condiziona vita e società più dei fatti concreti. È tempo di narrare diversamente»
Lo storico della letteratura evolutiva Jonathan Gottschall

Lo storico della letteratura evolutiva Jonathan Gottschall - Jared White/Bollati Boringhieri

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Dietro ai più grandi mali della civiltà c’è sempre una storia che confonde le menti e le nuove tecnologie amplificano gli effetti delle campagne di disinformazione, così come le fake news rendono impossibile separare i fatti dalla finzione. Jonathan Gottschall parte da questi spunti e da una domanda: come potremo salvare il mondo dalle storie? Lo fa in un libro appena uscito per Bollati Boringhieri, Il lato oscuro delle storie. Come lo storytelling cementa le società e talvolta le distrugge (pagine 274, euro 24,00). Lo presenta domani a "Pordenonelegge" e l’abbiamo intervistato a partire da quell’ecosistema di finzione narrativa nel quale siamo immersi e che caratterizza in maniera così peculiare la nostra specie, poiché le storie creano la struttura delle nostre società, fanno vivere a ogni persona migliaia di vite, preparano i bambini alla vita adulta e formano i legami che ci consentono di convivere in pace; tutto però ha un lato oscuro.

Perché le storie hanno un potere che influenza più dei fatti o dei dati?

I comunicatori possono generalmente utilizzare una delle due strategie: possono razionalizzare, adducendo argomentazioni supportate da prove, oppure possono drammatizzare. E gli studi dimostrano che se le persone prestano attenzione, se sono persuase, se lo ricordano bene, e se amplificano il messaggio condividendolo nelle loro reti sociali, le storie intrise di emozioni battono le argomentazioni razionali. Quando ci imbattiamo in argomenti basati sui fatti e sulla ragione, siamo critici e scettici, ma quando consumiamo storie, lo facciamo senza difese e siamo più facili da plasmare e manipolare.

Che ruolo hanno avuto le storie per l’evoluzione dell’umanità? E quali sono gli effetti sulla società di oggi?

La narrazione è ed è sempre stata un motore potente della storia. Il mio libro precedente, L’istinto di narrare, ne celebrava i lati positivi, mentre questo affronta i lati oscuri. Ora stiamo vivendo all’interno di un big bang tecnologico della narrazione, un’espansione rapida dell’universo delle storie in ogni direzione: una persona media consuma quasi dodici ore al giorno di storie, per lo più in forma narrativa. Le tecnologie digitali hanno amplificato in modo massiccio il potere delle storie: i sensi della parola ci attirano in epidemie di intensa irrazionalità e accendono la nostra rabbia.

Lei dice che il romanzo ha portato il pubblico a identificarsi con la condizione dei meno fortunati e Lynn Hunt sostiene che la rivoluzione dei diritti umani sia stata in gran parte determinata dall’emergere di una nuova forma di narrazione: il romanzo. Questo avviene ancora?

Sì, certamente, l’idea che le storie generino una forte empatia è nota. Viene sbandierata a gran voce da artisti, leader di pensiero e scienziati. Ma la saggezza convenzionale sull’empatia generata dalle storie è unilaterale. Tiene conto di tutti i caldi sentimenti di empatia e di connessione che i narratori possono generare, mentre non sembra nemmeno accorgersi che un tipo di energia molto diversa circola velocemente e con forza attraverso le nostre storie preferite, e non sarebbe sbagliato chiamarla odio. Le storie, nell’atto di generare empatia, possono anche generare l’inverso dell’empatia: una sorta di cecità morale nei confronti dell’umanità di chi è costretto al ruolo di cattivo. Questo fa della narrazione lo strumento ideale non solo per unirci, ma anche per allontanarci.

Uno dei problemi è che le nuove tecnologie amplificano gli effetti delle campagne di disinformazione.

Credo che sia il grande problema del nostro tempo, perché la nostra incapacità di risiedere all’interno di una sola realtà rende tutte le altre sfide molto più difficili. I social media e Internet si sono rivelati strumenti ideali per mettere in contatto le persone e condividere le informazioni, ma anche per dividere le persone e attaccare la realtà condivisa di cui le società hanno bisogno per prosperare. Mentre migriamo in un mondo di post-verità, è diventato chiaro che la cattiva informazione - purché sia una buona storia - tende a competere con una storia noiosa e ricca di informazioni di alta qualità.

Un migliore pensiero critico permetterebbe alle persone di separare le buone storie da quelle manipolative?

Spero proprio di sì. Le persone non si rendono conto del potere che le storie hanno su di loro. Se chiedete alle persone vi diranno che le storie hanno un’influenza minima, se non addirittura nulla, su di loro e che ciò che rispettano; ciò che realmente modella le loro convinzioni e decisioni, dicono, sono i fatti, le statistiche, la scienza. Ma si sbagliano. Le ricerche lasciano pochi dubbi sul fatto che le narrazioni di ogni tipo hanno una capacità speciale di attirare l’attenzione, di suscitare emozioni e modificare il modo in cui pensiamo, sentiamo e ci comportiamo. E, ironia della sorte, è proprio la nostra sicurezza che le storie esercitino così poco potere su di noi che dà loro così tanto potere, poiché non percepiamo il potere della narrazione e non facciamo nulla per difenderci da tale potere.

Come si potrebbe usare il nostro innato istinto narrativo per fare del bene?

Le storie non sono solo al centro dei nostri problemi, ma sono anche al centro delle uniche soluzioni possibili. Le storie hanno davvero il potere speciale di generare empatia, carità e connessione, ma solo se riusciamo a non raccontarle in un modo che sicuramente non funzionerà. Se vogliamo costruire ponti narrativi attraverso le nostre divisioni, invece di far saltare i pochi ponti che ci sono rimasti, dobbiamo resistere soprattutto alla potente e vertiginosa tentazione di raccontare storie in cui noi siamo gli eroi e le persone "dall’altra parte" sono disegnate come cattivi bidimensionali nelle nostre commedie morali.

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