mercoledì 13 gennaio 2010
COMMENTA E CONDIVIDI
Confrontarsi con la figura di Ermanno Gorrieri (1920-2004) significa misurarsi con una coscienza libera e ripercorrere, nello stesso tempo, alcuni momenti salienti della storia italiana del Novecento. Tre sono i «luoghi» ideali abitati da Gorrieri nel corso del suo lungo e coerente impegno civile: la lotta per la salvezza dell’anima profonda del Paese contro la tentazione totalitaria negli anni della Resistenza (come testimonia la breve ma intensa esperienza, da lui stesso narrata, della Repubblica di Montefiorino); la convinta partecipazione, all’interno delle più vivaci correnti della sinistra democratico-cristiana, al grande progetto di rinnovamento della politica e della società italiana; la conclusiva e lunga fatica per concorrere alla promozione in Italia di una più reale eguaglianza e di una più piena giustizia sociale a servizio delle componenti più deboli della società (le classi lavoratrici da una parte, le famiglie monoreddito dall’altra). Ciascuno di questi tre momenti meriterebbe di essere analizzato, come in effetti è avvenuto in un volume che ora esce a stampa ad opera di un gruppo di studiosi che la Fondazione Ermanno Gorrieri ha fatto incontrare e che, con la guida dello storico Paolo Pombeni, hanno tracciato un lucido affresco di questa importante figura di cattolico democratico. Da parte nostra, anche per fare memoria di alcuni momenti di particolare vicinanza personale a questa figura, vorremmo richiamare l’attenzione su due aspetti della sua opera. Il primo aspetto riguarda il prolungato impegno, all’interno della sinistra democristiana prima e della Lega democratica poi, per il rinnovamento delle forme e dei modelli di presenza dei cattolici nella società italiana, attraverso uno stile personale caratterizzato da estremo rigore (deputato per una legislatura, versò gran parte del proprio stipendio all’organizzazione sindacale, Cisl, della quale si sentiva espressione) e insieme da una esemplare capacità di servizio. Gli anni fra il 1970 e il 1990 lo videro impegnato nella lunga, e alla fine perduta, battaglia per il rinnovamento del partito della Democrazia cristiana, tanto nei suoi uomini quanto nella sua capacità di guida del Paese; di un partito che – grazie all’afflusso di forze nuove e al ritorno agli ideali della resistenza e dei primi anni della ricostruzione – avrebbe dovuto ritrovare una sua forte attitudine progettuale ed esprimere una nuova classe dirigente. Il secondo aspetto dell’opera di Ermanno Gorrieri fa riferimento alla lunga battaglia pubblicistica dell’ultima fase della sua vita, quella che ci apre il pamphlet che lo rese noto anche al grande pubblico, lo scritto del 1972 su La giungla retributiva, schietta e documentata (oltreché inascoltata) denunzia delle ingiuste diseguaglianze sociali, e si conclude nel 2002 con Parti uguali fra disuguali, appassionato appello a una più equa ripartizione delle risorse fra tutti gli attori del processo di sviluppo. In mezzo – come momento forse più alto del suo impegno civile – l’attiva partecipazione, come vicepresidente e di fatto presidente, della Commissione nazionale per i problemi della famiglia (1980) e la presidenza della Commissione d’indagine sulla povertà istituita dalla Presidenza del Consiglio dei ministri (1984). Gli Atti di queste due commissioni sono un eloquente documento della lucidità dello studioso modenese nell’individuare le future dinamiche della società italiana; così come il silenzio che cadde su questi due argomentati e corposi rapporti è una delle più chiare, e malinconiche, riprove della incapacità della classe dirigente dell’epoca di comprendere le dinamiche interne della società italiana e di prevenire da una parte il tragico fenomeno della lotta armata allo Stato democratico e dall’altra la deriva individualistica e consumistica, e dunque radicalmente anti-egualitaria, che avrebbe caratterizzato gli anni tra la fine del Novecento e i primi anni Duemila. Un elenco di occasioni perdute, dunque, la vita di Ermanno Gorrieri? Verrebbe voglia di rispondere affermativamente, se la sua eredità di pensiero e di azione non rimanesse lì, ad additare alle nuove generazioni che un’altra Italia è possibile, che l’eguaglianza non è una parola vuota, che la giustizia non è un retorico appello ai buoni sentimenti: una lezione di vita e insieme un appello alla speranza.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: