lunedì 30 marzo 2015
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Anno 1474. È festa doppia in casa Gonzaga: Andrea Mantegna conclude a Mantova gli affreschi della Camera degli sposi, la dinastia regnante si arricchisce del terzogenito Giovanni. Anno 2015: il tesoro che impreziosisce il castello di San Giorgio riapre al mondo venerdì 3 aprile, risorgendo dal sisma del 2012. E a perpetuare il ramo cadetto iniziato da Giovanni sorridono i 2 anni e 9 mesi di Leone, ultimo nato di casa Gonzaga. La sensibilità culturale, l’acume politico, la capacità strategica in battaglia: dell’antico progenitore, quale tratto incarnerà? Il suo avo, da solo, fu tutto questo. E gli oltre 5 secoli di discendenza ne hanno voluto affidare il triplice lascito – quasi sempre scorporandolo – ora all’uno, ora all’altro esponente. Fino ai nostri giorni.L’amore per il bello, a Giovanni, lo instilla l’anno di nascita prima ancora dei genitori Federico I e Margherita di Baviera: è facile immaginarselo scorrazzare da bimbo sotto gli affreschi (probabilmente) voluti per il cardinalato dello zio Francesco, e sorridere dinanzi al nonno committente dell’opera, ritratto in trono in camicia da notte. Oppure alzare il naso verso l’oculo di cielo, e fantasticare rapito da quella rivoluzionaria prospettiva che di un soffitto faceva per la prima volta un angolo di cielo turchino. «È un qualcosa alla pari del Cenacolo di Leonardo o delle Stanze vaticane di Raffaello», dice oggi Paolo Bertelli, storico all’università di Verona. E il suo non è solo orgoglio patrio mantovano. «La Camera picta – spiega – per la prima volta celebra una famiglia marchionale italiana “raccontandone” gli eventi, e non semplicemente ritraendola in modo statico». Si aggiungano «il prestigio del pittore, l’ampiezza degli spazi, l’invenzione dello sfondamento prospettico del soffitto». Insomma, «è una tra le reliquie del Rinascimento italiano di più ampio livello». Quello stesso rinascimento in cui, una manciata d’anni prima, Niccolò Cusano al centro dell’universo aveva elevato l’uomo: piccola cosa, eppure esplicazione già completa del tutto che è Dio. Nulla di strano, dunque, se Giovanni si cimenta anche con il teatro e la letteratura, facendo sceneggiare nel 1495 «da Serafino Ciminelli, detto Serafino Aquilano, la canzone del Petrarca Una donna più bella assai che ’l sole». Ed è solo una delle molteplici attività culturali che Giulio Girondi ricorda tra le pagine de Il palazzo di Giovanni Gonzaga, una perduta dimora del rinascimento a Mantova (Il Rio arte, dicembre 2013), dimostrando come spesso sia Giovanni a ispirare l’impegno culturale della cognata Isabella d’Este, moglie del fratello Francesco II marchese di Mantova. Ma egli rimaneva pur sempre il terzogenito maschio. Dunque tradizionalmente destinato a diventare capitano di ventura. Ed ecco allora la sua impresa militare più significativa: nel 1495, al soldo del re di Napoli Ferdinando II d’Aragona, costringe alla resa la città di Atella. Vuoi per la sua abilità in guerra, vuoi per quella che Girondi definisce «altalenante» politica estera di casa Gonzaga, il 22 ottobre 1499 Giovanni si vede nominato consigliere e ciambellano del re di Francia Luigi XII: è l’inizio della sua opera politica e diplomatica. Ma una vicenda in particolare lo riscatta dall’ombra della sua terzogenitura, elevandolo a vero e proprio capostipite dinastico. La presenta Giada Scandola ne I Gonzaga e la rocca di Vescovato (Il Rio arte, dicembre 2013), quando racconta che il 19 marzo 1519 di quel feudo cremonese acquista i cinque sesti dai cugini di Novellara: nascono «I Gonzaga di Vescovato». Un ramo tra i meno conosciuti, ma non certo tra i meno affascinanti. E cosa non da poco: l’unico esistente ancor oggi, e in ben 2 linee.Quando Giovanni muore, 6 anni dopo, il figlio Sigismondo I ne raccoglie lo spirito bellico, e così diviene condottiero per Carlo III di Borbone. A ereditare invece la vocazione politica del progenitore nasce Pirro Maria (1590-1628), che ottiene da Ferdinando II d’Asburgo l’elezione a suo commissario imperiale in Italia. Uomo colto e letterato, dopo quattro generazioni Ottavio II (1667-1709) rivitalizza l’Accademia degli invaghiti: nel 1607, il sodalizio aveva tenuto a battesimo l’Orfeo di Claudio Monteverdi. Cultura, politica, arte bellica. È tra il 1861 e il 1937 che la dinastia dei Gonzaga di Vescovato vede sorgere un novello Giovanni, un uomo che del progenitore racchiude nuovamente in sé tutte le 3 inclinazioni: il generale Maurizio Ferrante (1861-1938) nel 1922 diviene senatore del Regno d’Italia, dopo che tre anni prima, all’indomani della Grande guerra, aveva relazionato alla conferenza di pace di Rapallo voluta dalla Società delle nazioni. Voce in capitolo nell’antesignana dell’Onu se l’era aggiudicata con la conquista del monte Vodice, ora Slovenia, quando il nobile discendente – che era pure oboista – ne aveva pensata una bella: coprire «il frastuono degli spari, paralizzante e privo di speranza», ricostruisce Giuseppe Oddo in Piacenza e la guerra ’15-’18 (Istituto per la storia del Risorgimento italiano, comitato di Piacenza, 2014), mettendo in prima linea la banda militare. E attenzione: che suonasse rigorosamente nell’ordine «la Marcia reale, l’Inno di Garibaldi e l’Inno di Mameli». La vittoria degli “ottoni contro cannoni” lo incorona nella primavera del 1917. Nuova generazione, nuovo conflitto. Stesso valore, ma esito infausto: il figlio Ferrante Vincenzo, classe 1889, un’ora dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 rifiuta di esser disarmato dagli ex alleati tedeschi. Così, al grido di «un Gonzaga non si arrende mai», cade da generale a Buccoli di Eboli sotto i mitra del maggiore Udo von Alvensleben. Solo due anni prima, nel cuore della Seconda guerra mondiale, era nato Corrado Alessandro: «Il capolavoro di Mantegna? Quando vi entro, saluto i miei antenati. E poi, guardare quelle scene per me che sono appassionato di cani e cavalli, si figuri lei…». È suo figlio Ferrante il padre del piccolo Leone: lui, venuto al mondo un mese dopo il terremoto, la Camera non l’ha ancora vista. Ne avrà tutto il tempo: in questa primavera gli affreschi rifioriscono dal sisma. E il ramo dei Gonzaga di Vescovato continua a gemmare nella vitalità delle sue 2 linee.
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