venerdì 24 aprile 2015
COMMENTA E CONDIVIDI
Sul grande schermo non si vedono più film sbancabotteghino come l’epocale “Fuga per la vittoria”, prove da Oscar come “Toro scatenato” o l’avvincente “Momenti di gloria”. L’ultimo acuto, con tanto di quattro statuette hoollywodiane vinte, lo ha fatto registrare, nel 2004, l’intenso “Million dollar baby”, premiato come miglior film, per la miglior regia di Clint Eastwood, la migliore attrice protagonista, Hilary Swank, e il miglior attore non protagonista, Morgan Freeman. Dieci anni dopo, cinque nomination, ma nessuna statuetta per Foxcatcher di Bennett Miller, la storia (vera) dell’assassinio di Dave Schultz il lottatore campione olimpico alle Olimpiadi del 1984 a Los Angeles, ucciso nel ’96 da John du Pont, suo amico e allenatore. Riconoscimenti e critica a parte, il genere che coniuga cinema e sport sta comunque vivendo una primavera di grande bellezza. Possiamo chiamarlo anche effetto Unbroken. L’onnipresente e infaticabile Angelina Jolie fa tendenza anche per ciò che attiene al trend dilagante dello sport sul grande schermo.La vicenda umana e olimpica del podista ai Giochi di Berlino 1936 - e poi prigioniero di guerra (catturato dai giapponesi) - l’italoamericano Louis Zamperini, ha letteralmente stregato la Jolie, e scatenato una corsa al lungometraggio dedicato agli eroi esemplari dello sport. Il pugilato si sa è il più letterario, l’arte più nobile tra le discipline, e per questo, da sempre oggetto di culto dei cineasti. Perciò non meraviglia che uno dei lungometraggi più interessanti è quell’Hands of Stone dedicato al campione del mondo Roberto Duran: il pugile panamense interpretato da Edgar Ramirez, assistito all’angolo dal suo allenatore, il mitico Ray Arcell - sul set il due volte premio Oscar Robert De Niro -. Il Duran di celluloide è tra i protagonisti di Bleed for this. La pellicola in cui il regista Ben Younger punta lo sguardo su “Paz” Vinny Pazienza, che dopo un terribile incidente stradale torna e combatte contro Duran, battendolo, negli anni ’90, per due volte. Formidabili quegli anni, come il 1974 a Kinshasa, quando nell’ex capitale zairese atterrarono i fenomenali Ali e Foreman per sfidarsi nel match del secolo. Un evento memorabile, il quarantennale di quell’incontro, è stato appena celebrato con saggi e libri fotografici e il ciclo si conclude con il docufilm I am Ali della regista Clare Lewins, la quale scandaglia con estrema sensibilità l’animo dell’ex Re dei massimi attingendo al copioso materiale messo a disposizione dall’archivio privato del pugile di Louisville. Leon Gast che da quell’incontro aveva tratto lo splendido documentario “Quando eravamo re”, torna sul ring e firma Manny, in cui la voce narrante dell’attore Liam Neeson introduce all’universo dorato del pugile filippino Manny Pacquiao, l’otto volte campione del mondo, in altrettante categorie. Pacquaio eroe nazionale a Manila, per salire sul ring incassa fino a 38 milioni di dollari l’anno. Cifre che ormai circolano soltanto nel pianeta calcio che, però, a differenza della boxe, per trascinare i tifosi dallo stadio al cinema, è costretto a chiedere aiuto alle vecchie glorie. «Maradona è meglio di Pelè?», recita l’arcano del football. Per ora il divino Diego d’Argentina batte l’anima do Brasil sul tempo. Emir Kusturica ha già eternato (nel 2008) El Pibe de Oro nel suo “Maradona”, mentre il tanto sbandierato film su O’ Rei, Pelè che doveva uscire in concomitanza con i Mondiali di Brasile 2014, dopo due anni di lavorazione non è ancora ultimato. Diretto da Michael e Jeff Zimbalist, la vicenda parte dall’ascesa del giovane Pelè che, da bambino è interpretato da Leonardo Lima Carvalho, mentre nell’adolescenza talentuosa gli dà voce e fisico Kevin de Paula. Tempi lenti, ambizioni elevate e costi di produzione che lievitano per un film che ha una griffe molto americana, e assai poco brasilera. Produzione Usa, direttamente dal fantastico mondo della Nba è quella che propone LeBron James, 31enne ala dei Cleveland Cavaliers, che ha messo parte dei suoi guadagni milionari a disposizione di Survivor’s Remorse. «Il rimorso dei sopravvissuti», ovvero quelli come LeBron James, strappati alla strada del ghetto per schiacciare su un futuro da “predestinati” del basket. Parte degli introiti della serie tv servono a finanziare le numerose attività filantropiche che fanno capo alla LeBron James Family Foundation. Kevin Durant, ala piccola di Oklahoma City Thunder, classe 1988, dopo aver recitato nel film per ragazzi “Thunderstruck” torna protagonista in The Offseason film-documentario in cui viene mostrata la vita e la preparazione al campionato di un atleta che partendo dalla polvere dei playground arriva a strappare il supercontratto faraonico con la Nike.La palla a spicchi che rimbalza nel piccolo o nel grande schermo, notoriamente fa impazzire il pubblico americano (e non solo), quanto la pallina da baseball e quella ovale del football. Million dollar arm è la storia di un reality in cui l’agente JB Bernstein (interpretato da John Hamm) seleziona dei giocatori di cricket da trasformare sul “diamante”, in lanciatori di baseball. La selezione è il tema portante di Draft Day di Ivan Reitman, in cui il coach Kevin Kostner è impegnato a scartare o prendere quelle matricole che andranno a comporre i ranghi della squadra di football americano dei Cleeveland Browns. Il team di un college californiano è il protagonista di McFarland storia targata Disney, ma realmente accaduta. Anche il regista neozelandse Niki Caro per il ruolo dell’allenatore si affida a Kevin Kostner che trasforma un gruppo di indomiti “latinos” in un gruppo affiatato e vincente nella corsa campestre. Sachin Tendulkar è uno dei più grandi giocatori indiani di cricket di tutti i tempi e la sua autobiografia, Playing It My Way, «giocare a modo mio», è un bestseller che in India già prima della sua uscita aveva venduto 150mila copie. I diritti per farne un film stanno scatenando l’asta. Ascesa e declino di un mito è l’opera di Stephen Frears (il regista dello struggente “Philomena”) che dirige L’ultima leggenda, incentrato sulla figura controversa del ciclista americano Lance Armstrong, sette volte vincitore del Tour de France - dal 1999 al 2005 - (vittorie poi revocate per aver fatto uso di doping) interpretato da Ben Foster (nel cast Dustin Hoffman e Chris O’Dowd). Un eroe con poche ombre, è stato sicuramente Dino Ferrari, il grande “Drake”. Il padre padrone della Rossa di Maranello, ha stuzzicato la fantasia e la voglia di impersonarlo di Robert De Niro, il quale però per la regia chiede aiuto a Clint Eastwood. Una volta letta la sceneggiatura il vecchio Clint scioglierà le ultime riserve per scendere in pista e magari far pronunciare a De Niro la battuta finale di Enzo Ferrari: «Quando me ne andrò potrete dire, era un rompiscatole, ma era sempre in buona fede».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: