venerdì 29 gennaio 2021
L’illustratore e narratore australiano si inserisce con “Piccole storie dal centro” nel filone, sempre più ricco, di una rinnovata riflessione sul rispetto degli equilibri naturali
Una delle tavole di Shaun Tan per il suo “Piccole storie dal centro”

Una delle tavole di Shaun Tan per il suo “Piccole storie dal centro” - Tunué

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Ignorantia legis non excusat, insegnavano già gli antichi: non conoscere una legge non dispensa dal rispettarla. Neppure se si tratta della legge degli orsi, imponente e dettagliato sistema giuridico del quale gli esseri umani non hanno avuto alcuna nozione fino a quando gli orsi stessi, stanchi di vessazioni e incomprensioni, non si sono rivolti ad avvocati specializzati, che hanno imparato la lingua dei loro clienti, l’ursino, e rivendicato l’osservanza delle norme ancestrali. A quel punto è diventato inutile protestare che non si sapeva o, peggio, che sapere era impossibile. Nella venatura delle foglie, nelle fessure della roccia, nell’ombra dei licheni la legge degli orsi è scritta con inappellabile chiarezza. Se venisse trascinata in tribunale, l’umanità non avrebbe modo di discolparsi e sarebbe condannata a un risarcimento di dimensioni iperboliche. Meglio chiudere la causa prima ancora che venga aperta, magari sbarazzandosi dell’avversario. Che è pratica brutale, ma di provata efficacia. Quello che abbiamo appena riassunto è uno dei racconti che compongono un libro affascinante e indefinibile. Si intitola Piccole storie dal centro e porta la firma di Shaun Tan, il grande illustratore australiano che qui dimostra un indiscutibile talento di narratore.

Nato nel 1974 nei pressi di Perth, Tan è autore tra l’altro di L’approdo, meraviglioso romanzo per immagini annoverato a buon diritto tra i classici contemporanei sull’emigrazione. Il rapporto con l’altro, inteso anche come occasione di accresciuta conoscenza di sé, è da sempre il tema centrale dell’opera di Tan, che negli apologhi di Piccole storie dal centro (tradotti con mano felice da Omar Martini; Tunué, pagine 232, euro 22,00) concentra la sua attenzione sul rapporto tra gli animali e l’uomo, in una serie di continue variazioni poetiche ambientate di preferenza in imprevedibili contesti urbani. Non ci sono soltanto orsi che scendono in città per intentare la loro class action, ma anche coccodrilli che sguazzano nella palude artificiale allestita tra un piano e l’altro di un grattacielo, rinoceronti che si avventurano in tangenziale, volpi che fanno la guardia negli appartamenti sguarniti, maiali che misteriosamente si assottigliano nella stanza in cui i bambini non dovrebbero entrare e altri ancora, tutti convocati in questo bestiario nel quale riecheggia la voce di di tanti maestri della letteratura fantastica (l’apparizione della tigre rimanda a Cortázar e, in generale, le storie di animali di Kafka sono un precedente difficile da dimenticare).

Originalissimo nella combinazione sognante di parole e immagini, il libro di Tan può essere inserito nel più vasto contesto di una nuova riflessione letteraria sugli equilibri ambientali. Ne dà conto, in ambito internazionale, il fascicolo più recente della rivista Granta, monograficamente incentrato sul concetto di second nature, ovvero di istinto naturale, mentre in Italia è recente la pubblicazione di L’assemblea degli animali (con i disegni di Riccardo Mannelli, Einaudi, pagine 176, euro 15,00), la «favola selvaggia » composta da un misterioso Filelfo e apparsa a puntate su Robinson di Repubblica durante la primavera dello scorso anno. Caratterizzata da una programmatica e ammiccante abbondanza di citazioni dalle fonti più diverse, La favola degli animali si richiama a una tradizione nella quale convergono la Battaglia delle rane e dei topi di ambito omerico, la settecentesca Favola delle api di Bernard de Mandeville, La fattoria degli animali di George Orwell e tante altre invenzioni alla maniera di Esopo.

Ne viene fuori un singolare intreccio tra instant book e conte philosophique, che prende spunto dalla pandemia per descrivere – o forse scongiurare – l’ipotesi di una congiura del mondo animale ai danni di un’umanità ormai troppo invadente. Non fosse per l’azione congiunta di cani e gatti, il piano si risolverebbe con un’estinzione che viene invece scongiurata grazie a un percorso iniziatico comune a uomini e animali. Declinata dal nostro Filelfo in chiave tendenzialmente esoterica, la soluzione di una ritrovata alleanza tra i viventi è il punto di approdo anche di Piccole storie dal centro, a sua volta connotato da un sotterraneo animismo che si manifesta talvolta in insofferenza verso le religioni istituzionali.

La sensazione, insomma, è di un Cantico delle creature che finisca per escludere l’esistenza stessa del Creatore per assestarsi sulla contemplazione di un cosmo che si presuppone emancipato da qualsiasi prospettiva di trascendenza. È un crinale sottile, lungo il quale Tan si muove con una discrezione che si fa tanto più convincente quanto più è accentuato l’elemento fantastico. Non per niente il racconto che più di ogni altro restituisce lo spirito di Piccole storie dal centro è quello dedicato all’inesistente pesce re, che fluttua nel cielo al di sopra di una metropoli disertata dalle acque. Lo si riesce a catturare, se si è fortunati. Ma la vera fortuna – anzi, la vera saggezza – consisterebbe nel lasciarlo libero.


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