mercoledì 20 gennaio 2016
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Non ci siamo ancora ripresi dal grande vuoto lasciato da David Bowie che vola via per sempre un’altra stella della galassia rock degli anni Settanta, Glenn Frey.La chitarra magica e co-fondatore dello storico gruppo di Los Angeles, gli Eagles, ci dice addio. È morto a New York, aveva 67 anni, uno dei magnifici quattro delle “Aquile” che con Don Henley, Bernie Leadon e Randy Meisner nel 1971 aveva dato vita alla band. «Era come un fratello. Eravamo una famiglia e come in tutte le famiglie ci sono stati dei problemi. Ma il rapporto che abbiamo costruito in 45 anni non si è mai rotto: abbiamo costruito qualcosa che è durato di più di quanto immaginassimo. E quel rapporto è stato Glenn a iniziarlo», è il ricordo commosso del suo “fratellastro”, sopra e fuori dal palco, Don Henley, il batterista con il quale tra una sbronza e una rissa Frey ha sempre mantenuto viva la leggenda degli Eagles. Frey era uscito da tempo dal gruppo (che ha avuto un periodo di oblio durato dal 1980 al 1994 prima del ritorno sulle scene) per dedicarsi alla sua maggiore passione dopo la musica, i motori. In Take it easy, il primo singolo che mandò in orbita le “Aquile” c’era già la sintesi di questa sua poetica, a metà tra la vita spericolata di Steve McQueen e lo spirito avventuriero e letterario di quello che per “Rolling Stone” era e rimane «l’Hemingway del rock». Glenn è stato un virtuoso della chitarra a dodici corde e la sua voce da finto californiano cantava con orgoglio quell’Hotel California che ha fatto degli Eagles un gruppo cult e un fenomeno commerciale da trenta milioni di copie vendute solo negli Usa. In realtà Frey era nato a Detroit (Michigan). Una giovinezza vissuta on the road, come il suo autore preferito Jack Kerouac, e in California c’era arrivato alla fine dei Sessanta, scappando di casa e dopo essersi guadagnato da vivere con alcune esibizioni live affiancando Bob Seger. Poi una parentesi in duo con J.D. Souther con cui incise i primi dischi, non certo memorabili.Ma la svolta avvenne sulle rotte del country rock e la sala di incisione in cui suonava per Linda Ronstadt. Lì in quello studio avvenne l’incontro con il suo alter ego alla batteria, Don Henley, il bassista Randy Meisner e il polistrumentista Bernie Leadon. Ed ecco che nel 1971 le Aquile erano pronte per spiccare il primo volo, assistiti dalla casa discografica Asylum, una piccola factory in cui si incrociarono le collaborazioni e i destini dei talentuosi Jackson Browne e Tom Waits. Tranne l’incompreso concept album Desperado, ogni uscita degli Eagles è stata salutata sempre da un successo di critica e soprattutto dalla venerazione del pubblico. Oltre 150 milioni di dischi venduti in tutto il mondo. Il loro Their greatest hits (1971-1975) ha scalato le classifiche e sbancato sul mercato con oltre 42 milioni di copie vendute. Cifre record, infatti è il secondo album più acquistato dopo Thriller di Michael Jackson. Ma all’apice del successo Leadon e Meisner lasciarono gli Eagles che accolsero l’ingresso dei nuovi Don Felder, Joe Walsh e Timothy B. Schmidt – l’attuale formazione. Ed è proprio con Felder che, con le anime pulsanti dei primi Eagles Frey e Henley, realizzarono la ballata delle ballate: Hotel California. Con The long run nel 1979 i primi segnali dell’imminente scioglimento e la fuga di Glenn nei motori e nella composizione di colonne sonore per il cinema. Con The heat is on, colonna sonora del film Beverly Hills Cop – con Eddie Murphy – un altro bagno di successo internazionale, ma certo ben lontano dai cieli cristallini in cui con Frey volarono gli Eagles.
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