martedì 21 febbraio 2023
Il massacro dei soldati polacchi è stato per l’intellettuale e pittore cattolico l’emblema della ricerca della verità su guerra e gulag. Come traspare da “La terra inumana"
Lo scrittore polacco Józef Czapski (1896-1993)

Lo scrittore polacco Józef Czapski (1896-1993) - archivio

COMMENTA E CONDIVIDI

Interpellato sul destino dei militari polacchi mancanti all’appello (15mila in tutto, provenienti dai gulag di Starobel’sk, Kozel’sk e Ostaškov), Il’ja Erenburg alza la voce e scandisce bene le parole, di modo che la sua risposta venga captata a dovere da un eventuale microfono presente nella stanza. Non ne sa niente, dice, e con questo chiude il discorso. Nella Mosca del 1942 la prudenza non è mai troppa e questo nessuno può saperlo meglio di Erenburg che, essendo una delle massime glorie della letteratura sovietica, è fin troppo abituato a destreggiarsi fra i tranelli del potere. Non che il suo interlocutore non si renda conto del pericolo, ma almeno per il momento Józef Czapski è persuaso che la divisa di ufficiale dell’esercito polacco al comando del generale Anders basti ad assicurargli l’immunità. Non si sbaglia, o almeno non del tutto. Dopo essere stato ospitato in alberghi di lusso, lascia Mosca senza aver ottenuto la minima informazione sulla sorte dei commilitoni, ma in compenso le autorità lo hanno riempito da prelibatezze da portarsi in viaggio, riservandogli addirittura il privilegio della plackarta, la prenotazione ferroviaria che garantisce sistemazioni di invidiabile comodità. Mentre il treno lo porta verso l’ambasciata polacca di Kujbyšev, Czapski si ripete che i soldati perduti saranno senz’altro vivi, impossibile immaginare un massacro di quelle proporzioni. La fragile alleanza tra due Paesi che nel 1939 si erano trovati l’uno contro l’altro (l’invasione nazista della Polonia era la conseguenza diretta del patto Molotov-Von Ribbentrop) non reggerebbe a un simile tradimento. Un anno dopo, la scoperta delle fosse comuni di Katyn’ avrebbe smentito nel modo più terribile il residuo ottimismo di Czapski, che per tutta la vita lotterà per il riconoscimento della verità storica e politica: contrariamente a quanto sostenuto dalla propaganda sovietica, la strage dei soldati polacchi a Katyn’ era stata compiuta dall’Armata Rossa e non dalle truppe della Wehrmacht. Per Czapski, insomma, Katyn’ diventa la pars pro toto di un’incessante ricerca di giustizia, come la definisce Andrea Ceccherrelli nel saggio che accompagna la prima edizione italiana di La terra inumana, ora tradotto dallo stesso Ceccherelli e da Tullia Villanova per Adelphi (pagine 460, euro 28, in libreria dal 24 febbraio). Insieme con Ricordi di Starobielsk, che nell’immediato dopoguerra fu pubblicato anche nel nostro Paese, La terra inumana compone un dittico di forte testimonianza autobiografica. È l’aspetto per cui oggi rimane più noto questo «cosmopolacco» di nobili origini, nato a Praga nel 1896 e morto nel 1993 a Maisons-Laffitte, la località alle porte di Parigi dove aveva sede l’Instytut Literacki del quale lo stesso Czapski era stato instancabile animatore, in particolare attraverso la rivista Kultura. Di questa lunghissima esistenza, solo una decina d’anni – peraltro decisivi in termini di formazione culturale – erano stati trascorsi in Polonia, ma questo non aveva impedito a Czapski di mantenere saldo il legame con la patria. All’iniziale utopismo tolstojano della giovinezza era subentrata una più matura dimensione di impegno civile, ben rappresentata dal tentativo di venire a capo della scomparsa dei 15mila polacchi e, in seguito, dai ripetuti interventi sulla tragedia di Katyn’ (uno dei suoi primi articoli sull’argomento, apparso nel 1948, è riportato in appendice alla Terra inumana). Pittore di spicco, Czapski fu intellettuale raffinatissimo e nello stesso tempo estremamente concreto. Un umanista fedele all’umanità, verrebbe da chiamarlo pensando alla naturalezza con la quale, anche nel resoconto brutale della guerra e della detenzione, riaffiorano precise citazioni letterarie, alle quali viene demandato il compito di rendere più evidenti e quasi palpabili le caratteristiche di una determinata situazione. Uno dei documenti più impressionanti di questo combattivo umanesimo è costituito dalla raccolta di «conferenze clandestine» Proust a Grjazovec, uscita da Adelphi nel 2015 (in precedenza, nel 2005, il volume era stato pubblicato dall’Ancora del Mediterraneo con il titolo La morte indifferente e con una postfazione di Gustaw Herling). Del resto, Czapski era stato uno dei primi critici polacchi a occuparsi della Recherche, nella quale si era imbattuto durante una delle scorriban- de librarie rievocate anche nella Terra inumana. E così i preziosi cataloghi d’arte smerciati per pochi spiccioli dai pittori russi in disgrazia rappresentano l’ideale completamento del ritratto di uno dei rari sopravvissuti agli orrori del gulag: « Di statura bassa, una piccola testa tonda su un collo estremamente magro, il tenente Sołczynski sembrava davvero uno scheletro coperto di stracci. I tratti minuti, il colorito bianco come carta, le orbite profonde sotto l’alta fronte pallidissima, le guance totalmente incavate: non era la testa di un uomo vivo, era un teschio, che per imperscrutabili ragioni, come dimostravano i vivaci occhi chiari, era ancora in vita». Internato a sua volta nel campo di Grjazovec, Czapski era stato liberato poco prima che iniziassero la deportazione e lo sterminio dei militari polacchi. In questo modo aveva potuto unirsi alle truppe di Anders, costituite dagli stessi sovietici dopo il cambio di fronte dell’Urss nel 1941. La terra inumana è anche il racconto delle peregrinazioni di questa armata piccola e coraggiosa, che gli italiani conoscono bene per il suo contributo determinante nella battaglia di Montecassino. Una sorta di Anabasi al contrario, che da ovest procede verso est per approdare in Iran, dove nel 1942 si è acquartierato l’esercito di Anders. Sono pagine dalle quali emerge con chiarezza la dimensione religiosa dell’esperienza del cattolico Czapski: «So che un abisso separa l’islam dal cristianesimo – annota –, eppure guardando questa gente che bacia la grata che circondala tomba dell’imam, queste donne che piangono disperate ai piedi di essa, penso alla buia cappella di Czestochowa piena di pellegrini, alla folla di gente inginocchiata per strada ai piedi dell’immagine della Madonna di Ostra Brama, alle persone che anche là credono con pari forza, fra le avversità e le disgrazie, in un Dio Onnipotente, nella giustizia, e cercano grazia e intercessione presso la “Regina, Madre di Misericordia, vita, dolcezza e speranza nostra”».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: