giovedì 1 settembre 2022
Ricercatore del Mit ed esperto di problemi climatici: «È utile studiare come il problema è stato affrontato nella storia: la soluzione sta nelle infrastrutture ma la risposta è sempre sociale»
Il fiume Po in secca nell’area di Reggio Emilia, 17 Luglio 2022

Il fiume Po in secca nell’area di Reggio Emilia, 17 Luglio 2022 - Ansa/Andrea Fasani

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«La cosa più pericolosa da fare è rimanere immobili». È stata questa frase di William S. Burroughs a ispirare la scelta del concetto di movimento come filo conduttore della XIX edizione del Festival della Mente. Attraverso la declinazione del concetto di movimento, il festival si interroga perciò sui temi più urgenti della contemporaneità e sulle grandi sfide che riserva il futuro: la questione dei rifugiati, la salute, la guerra, l’online, gli adolescenti e il cambiamento climatico. Anche i danni causati dal cambiamento climatico, come la siccità o le inondazioni, sono infatti tra le principali cause di migrazione. Oggi, come diecimila anni fa, l’acqua determina la vita dell’uomo. Ne abbiamo parlato con Giulio Boccaletti, ricercatore del Mit e della Smith school di Oxford e senior fellow del 'Centro euro-mediterraneo per i cambiamenti climatici', nonché autore di Acqua. Una biografia( Mondadori, pagine 468, euro 28), anticipando insieme alcuni dei temi che affronterà nell’incontro “Fermi, mentre l’acqua attorno scorre”, che si terrà sabato 3 settembre in Piazza Matteotti, dove si interrogherà sulle sfide che dovremo affrontare a causa del cambiamento climatico che sta modificando la distribuzione delle acque sulla Terra.

La crisi climatica in questi ultimi anni ci ha portato a rivedere il nostro rapporto col territorio?

«Nell’ultimo secolo la transizione verso l’urbanizzazione ha portato la maggioranza delle persone a lavorare e vivere in città e pochi oggi hanno a che fare col territorio, a differenza di anni fa. Quindi oggi il territorio è solo una scenografia. Le esperienze col territorio erano più normali un tempo perché le infrastrutture erano limitate, ma questo momento ci sta chiedendo un ritorno al territorio. Per via del riscaldamento globale stiamo sostituendo i combustibili fossili con le rinnovabili e questa transizione avrà un grosso impatto. Il lavoro da fare sarà soprattutto di infrastrutture, ma bisogna tenere conto che oggi abbiamo anche aspettative che prima non avevamo, e al tempo stesso dobbiamo pensare alla gestione delle emergenze».

La politica come dovrebbe intervenire?

«Contribuendo alla costruzione di cittadini informati. Con la recente approvazione della modifica all’articolo 9 della Costituzione, l’Italia fa un passo importante verso la tutela dell’ambiente. In particolare, il testo introduce il riconoscimento della tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. Il concetto di biodiversità non è univoco, parte dalla partecipazione e può essere compreso al meglio nella collettività. Perciò credo che la politica dovrebbe prima di tutto fare divulgazione sul linguaggio e sui ruoli dei vari attori, formando e rendendo trasparenti dati e informazioni».

Qualche anno fa si parlava di acqua vir- tuale e impronta idrica, ora se ne parla meno, ma quello era un tema politico oltre che ecologico, perché l’acqua impiegata nella produzione di alimenti, spostandosi comporta cambiamenti nell’equilibrio dei Paesi.

«Quello dell’impronta idrica è un concetto molto valido in letteratura, ma si ferma più o meno lì. Il punto è che i litri d’acqua utilizzati sono un problema in base al luogo da cui provengono, non lo sono a prescindere, inoltre dipende dalle quantità di cui si parla. In generale l’acqua c’è nel mondo, ma il vero problema è che non sempre c’è in un posto quando serve, quindi dipende dalla situazione specifica locale, oltre che dal contesto. Quello dell’impronta idrica è però un concetto molto utile per illustrare quanto e come siamo dipendenti dall’idrologia di altri luoghi».

Secondo una mappatura del World resources institute di qualche anno fa i Paesi più a rischio in relazione ai più alti livelli di stress idrico sono oltre trenta e ci sono altri luoghi nel mondo che affrontano carenze idriche tutto l’anno.

«Anche in questo caso le mappature sono utili soprattutto per illustrare alcune questioni, come ad esempio sapere dove sono i problemi per poter intervenire in modo mirato. Ci sono parti del mondo storicamente aride, ma quello che è davvero importante è il modo in cui la società gestisce il problema per operare in un contesto arido. Ci sono esempi di posti aridi che hanno creato infrastrutture efficaci, ma il problema rispetto a questo argomento è che per farlo si possono calcolare solo le statistiche passate, dove però è difficile calcolare le variabili dei cambiamenti climatici».

L’Italia in che situazione si trova?

«L’Italia è un Paese ricco d’acqua, ma anche un Paese fortemente agricolo e non uniforme. Quello che è successo quest’anno col Po in secca è dato dal contesto, ma anche dalla povertà di infrastrutture».

Il rapporto tra società e acqua è al centro del suo libro.

«Il mio è un libro fondamentalmente storico. Rivela come la nostra società abbia nel proprio codice la stratificazione di generazioni che nel tempo hanno risposto a tutte le domande sull’acqua. Credo sia utile per meglio comprendere come si muove l’acqua intorno a noi».

In questi mesi spesso si è parlato di guerra per l’acqua. È un rischio?

«La verità è che nessuno sa davvero per cosa scoppino le guerre, e comunque non è mai solo per un’unica ragione. Anzi, potrebbe essere vero l’opposto: esistono esempi nel mondo di luoghi in conflitto, i cui pochi rapporti di dialogo sono proprio nella gestione delle acque che condividono. Per cui credo sia una semplificazione parlare di guerre per l’acqua, perché ogni situazione ha molteplici fattori di cui tenere conto».


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