sabato 24 maggio 2014
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I velocisti sono tipi spericolati e anche guasconi. Avvezzi ad alzare il gomito ma solo nel rettilineo d’arrivo e senza perdere mai la freddezza. Abituati alle folli velocità ma solo negli ultimi 300 metri. Talvolta peccano anche di superbia ed egoismo, come nella tappa di giovedì quando hanno iniziato a guardarsi in cagnesco già a parecchi chilometri dal traguardo rimbalzando la responsabilità dell’inseguimento sulle spalle dei rivali. Superbia ed egoismo sono nemici della collaborazione e senza collaborare non si va da nessuna parte, tantomeno a prendere i fuggitivi. Così a Rivarolo Canavese arrivano in tre a giocarsi la vittoria, mentre il gruppo assiste alla volata 200 metri più indietro. Il vicentino Marco Canola batte i due compagni di fuga, il venezuelano Jackson Rodriguez e il francese Angelo Tulik, con i quali era “scappato”, insieme ad altri 3 corridori, subito dopo il via. Agli sprinter resta solo la volata per l’onore: lottano per il quarto posto come se fosse per il primo. Bouhanni batte ancora Nizzolo - di un soffio - e Viviani, ma esce sconfitto nella stima. Un grande velocista, come cercano di dipingerlo in questo Giro d’Italia poverissimo di ruote veloci e come egli stesso crede di essere diventato, non può sottrarsi dalla responsabilità di mettere alla frusta i suoi gregari per “tappare i buchi”: la squadra del favorito deve accollarsi il maggior carico di lavoro, non è bon ton ma una semplice regola di buon senso. Il Giro d’Italia è povero di velocisti - ne mancano anche un paio dei migliori italiani (Modolo e Guardini) - così come è povero di campioni. I grandi nomi puntano tutta la stagione sul Tour de France, offre grande visibilità e sontuosi contratti, mentre il Giro si trova a dover soffrire persino la concorrenza del Giro di California, che da qualche anno l’Uci ha messo in calendario in concomitanza con la corsa rosa. Gli Stati Uniti rappresentano una delle nuove grandi frontiere per il mercato della bici e gli industriali non possono perdere l’occasione di mostrare i loro “gioielli”, inoltre, per i grossi nomi ci sono anche lauti ingaggi da parte dei ricchi organizzatori americani.

Capita, allora, che una corsetta come il Giro di California possa permettersi di schierare un campo partenti di primo piano, mentre una gara storica come il Giro d’Italia si trovi ad allineare al via solo le seconde linee del ranking mondiale o quei corridori che, vedendosi la strada per il successo sbarrata in Francia, cercano il risultato in un grande Giro dalle nostre parti. Ecco perché quest’anno è arrivato il giovane Nairo Quintana, secondo al Tour dello scorso anno: l’obiettivo era di mettere su esperienza e morale tornandosene a casa con la maglia rosa, in attesa che le strade francesi si ripulissero da quelle “brutte bestie” che le infestano, perché Froome, Contador e Nibali per ora appaiono irraggiungibili. Ed era subito tornato al Giro, dopo un anno di “illusione” in Francia, anche Joaquin Rodriguez (poi costretto al ritiro dopo la caduta di Montecassiono), anche lui era salito sul podio a Parigi ma sapeva benissimo che non sarebbe mai riuscito a replicarsi, quindi meglio dirottare verso una corsa più abbordabile. Lo stesso discorso che ha fatto il “vecchio” Cadel Evans, ormai una spanna dietro i big del pedale. Insomma, il Giro è diventato una palestra per i giovani e il campo di conquista per chi sa di avere la strada sbarrata al Tour. Persino una squadra di matrice italiana come la Cannondale non ha mai portato la sua punta di diamante sulle strade rosa: Peter Sagan deve alla sua forza e simpatia ma soprattutto al Tour la sua popolarità. Persino la Vuelta può permettersi un parterre ben più prestigioso: la vicinanza con i Mondiali la rende la corsa ideale per preparare la rincorsa alla maglia iridata. Ieri, nella cronometro di Barolo, è finalmente iniziata la caccia alla maglia rosa che si concentra tutta in questa ultima terribile settimana. Oggi il primo esame per gli scalatori: si arriva al Santuario di Oropa, tappa dura e traguardo in salita, chi vuole indossare la maglia rosa a Trieste può e deve dimostrare di avere gambe e coraggio e iniziare a rosicchiare il forte ritardo accumulato nei confronti di Rigoberto Uran. Da ieri le tappe di montagna, la palestra degli scalatori e anche dei mitomani, anzi esibizionisti, quei personaggi che approfittano del lento passaggio dei ciclisti in salita per correre al loro fianco spesso vestiti – talvolta anche svestiti – con costumi bizzarri. Una brutta e contagiosa consuetudine che dà fastidio ai corridori e agli spettatori. I cameraman della Rai dovrebbero evitare di inquadrarli o di indugiare su di loro: è l’unico modo per sperare di debellarli. Perché il ciclismo è uno sport dove lo spettatore è sempre rimasto tranquillo al suo posto, anche senza transenne a limitarlo, limitandosi a incitare tutti i ciclisti, dal primo all’ultimo. Perché sulla strada lo spettacolo lo offre il corridore ed è solo quello che vogliamo vedere.

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