mercoledì 9 settembre 2009
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Prosegue il giro di orizzonte sullo stato di salute del sistema informativo italiano dopo i recenti scossoni e manipolazioni della verità. Ieri il massmediologo Aldo Grasso aveva evidenziato, su queste colonne, come ormai si sia instaurato un clima di guerra, con l’imbarbarimento della stampa come conseguenza della sua confusione con la propaganda.» Zucchelli: «Persone attaccate con il metodo dei giacobini» «Quello che sta capitando alla stampa italiana è la logica conseguenza di uno stile ormai in campo da tempo». Giorgio Zucchelli, presidente della Federazione italiana dei settimanali cattolici, nota che i toni e i contenuti delle ultime campagne «mostrano la concezione della vita, e quindi del giornale, che si ha alle spalle: conta soltanto vendere, fare audience per avere più pubblicità – fare soldi. Nulla a che vedere con un’informazione al servizio dei cittadini. E l’assurdo è che questo metodo non paga: di fatto, si registra un continuo calo delle vendite dei giornali».Perché insistere, allora?«Occorre ricordare che l’informazione italiana è molto schierata politicamente, da ben prima dei fatti degli ultimi mesi. Non abbiamo giornali veramente liberi e indipendenti da poteri politici ed economici, al punto che possiamo individuare la collocazione politica di una persona semplicemente sapendo quale giornale legge. È molto difficile trovare una testata che stia dalla parte di chi lo legge e non di chi lo guida, e che faccia il suo servizio di critica nell’interesse del bene comune. I giornali fanno lotta politica e, come se non bastasse, di una politica di bassa lega, rimanendo sempre soltanto alla superficie delle cose in attesa di ogni occasione buona per attaccare l’avversario – anzi: il nemico. Mai che si approfondisca, che si dia al lettore la possibilità di valutare concretamente la tal legge o il tal avvenimento. Perfino la cronaca esalta oltre ogni limiti i fatti di sangue fino all’assurdità di processi trascinati in televisione per mesi, sera dopo sera, mentre invece si trascurano tanti altri aspetti della vita del Paese ben più importanti».E le ultime campagne scandalistiche sono anche conseguenza di questa impostazione culturale?«Certo. Ma c’è stato di più, un salto, perché si è alzato il tiro direttamente sulle persone. Non è accettabile che la battaglia politica nei confronti del presidente del Consiglio – piaccia o meno la sua figura e la sua politica – sia fatta per anni prima per via giudiziaria, e poi dal buco della serratura, delegittimandolo dal punto di vista etico per farlo cadere dal punto di vista politico. Lo stesso è successo con Dino Boffo, attaccato personalmente e violentemente per minarne il ruolo nell’informazione – e qui purtroppo il gioco ha funzionato. Ma questo è il metodo giacobino».Si dice: «Avevo una notizia e dovevo pubblicarla, la gente ha diritto di sapere»...«Ridicolo. Chiunque conosca i giornali sa che i direttori devono cestinare centinaia di notizie ogni giorno, perché non c’è fisicamente lo spazio per metterle tutte. Vengono sempre fatte scelte, in base alle idee che si hanno, e spesso si sacrificano quelle più importanti dal punto di vista sostanziale: quelle, la gente non ha il diritto di sapere? È un atteggiamento farisaico. Il gioco è facile, quando la tal ipotesi buttata lì sul giornale diventa di solito, nella mente di un lettore, un fatto reale. È vero che il giornalista scrive "potrebbe essere così", ma nella mente del lettore quel condizionale diventa un indicativo: "è così". Oppure, altro mezzuccio: non si racconta – e quindi non si verifica – la notizia direttamente, ma la si fa raccontare da altri, dal "testimone" di turno: se è falsa, affari suoi. Ci si copre le spalle e intanto si getta l’amo, nella consapevolezza che tanto la cultura di massa non fa distinguo: tutto si semplifica, tutto diventa vero, tutto diventa falso».E questo paga?«Forse, politicamente. Certo Feltri ha aggredito anche per vendere, ma sono cose che funzionano solo sul breve termine. L’esperienza dei settimanali cattolici, con il loro milione di copie settimanali complessive, mostra al contrario che non è vero che la gente rifiuta le testate che scrivono in maniera breve, chiara e soprattutto cercando di spiegare veramente i problemi».
Sciortino: «Libertà di critica, essenza della democrazia»«Ne verremo fuori se ognuno tornerà a fare bene il proprio mestiere: i giornalisti a fare bene i giornalisti, i politici a fare bene i politici, e tutti al servizio: i giornali, dei lettori; i politici, dei cittadini». Invece, per il direttore di Famiglia cristiana Antonio Sciortino, «i ruoli si sono confusi, e tutti sono venuti meno alla propria missione. La libertà di stampa è un bene prezioso per la democrazia: per questo deve interessare tutti, in modo trasversale, e va evitata qualsiasi forma di strumentalizzazione. Dove c’è meno opinione libera, c’è meno democrazia».E lei crede che oggi in Italia la democrazia corra un reale pericolo?«Il livello di democrazia di un Paese si può misurare proprio dal tasso di libertà della stampa e dalla vivacità dell’opinione pubblica: ma oggi in Italia i giornali non sono al servizio dei lettori, ma dei potenti di cui invece dovrebbero essere voce critica. Se si arriva a dover fare una manifestazione pubblica per difendere la libertà di stampa, come quella in programma per il 19, allora io credo che qualche problema in questo settore il Paese ce l’ha. Il vizio di fondo è quello della concentrazione dei mezzi di comunicazione in poche mani e dalla quasi totale mancanza di editori puri, che rispondono esclusivamente agli interessi dell’informazione. Altro problema serio è che in Italia la stampa, invece di essere concorde nella difesa delle proprie prerogative di libertà, di informazione e di critica, si è frazionata e politicizzata, con giornali contrapposti gli uni agli altri. A me dispiacerebbe tantissimo se la manifestazione del 19 assumesse coloriture politiche, come se la stampa attribuita all’opposizione scendesse in piazza contro la stampa schierata con il governo. La libertà di informazione e di critica in un Paese democratico non deve essere vista come un fastidio, perché la stampa non è fatta per adulare; bisogna che i giornalisti non abbiano bavagli e magari facciano autocritica, chiedendosi quanto siano in grado di mantenere la schiena diritta e quanto invece non si prestino a servizi, talora neanche richiesti, a favore del potere». Non c’è anche un problema tecnico, del come si fanno i giornali? Si spia dai buchi della serratura, si brandiscono lettere anonime e foto paparazzate…«Io richiamo all’etica professionale. Se noi applicassimo sempre quella deontologia che è il fondamento del nostro mestiere, allora eviteremmo di trasformare le parole in proiettili e di usare il potere mediatico che abbiamo in mano per danneggiare le persone e non per servire il Paese».C’è stata anche una confusione delle tradizionali differenze di ruoli tra stampa rosa e stampa d’informazione?«Io credo che oggi abbiamo un eccesso di informazione tale da portare a essere meno informati, con minor approfondimento e minor comprensione. Il ruolo del giornalista nel mondo di internet è ancora più importante, perché deve aiutare a capire qual è la realtà e qual è il contesto entro il quale una notizia va inquadrata. Non certo eseguire ordini politici di servizio».Non solo invece si conducono battaglie politiche, ma queste sono fatte non sulle idee, ma contro le persone...«Sì, questa è un’altra anomalia. Capita anche a noi di essere criticati per delle posizioni che prendiamo, però – come è avvenuto anche nel caso di Dino Boffo – non si entra nel merito delle questioni ma si cerca di delegittimare la persona, attaccandola pesantemente e lanciando avvertimenti e intimidazioni. Questa è una vera e propria degenerazione del nostro modo di fare informazione».
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