sabato 14 febbraio 2015
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«L'immagine di un 'Dio giardiniere' è presente non appena si apre la Bibbia, attraverso un celebre passaggio della Genesi: 'Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato' ». A ricordarlo con enfasi è il domenicano francese Christophe Boureux, affascinato da sempre da quell’atto divino del 'piantare' carico di significati in stretto dialogo con la volontà di 'plasmare' l’umanità. Tanti anni di riflessione teologica su questo tema sono adesso confluiti nel volume Dieu est aussi jardinier (Cerf), dove l’autore pare far tesoro anche della sua esperienza pratica di 'giardiniere'. Non lontano da Lione, Boureux è infatti responsabile del parco forestale di 70 ettari che circonda il convento Sainte Marie de la Tourette, quest’ultimo noto anche per i suoi tratti architettonici ideati da Le Corbusier. È forse più semplice partire dall’oggetto. A quale 'giardino' fa riferimento il suo libro? «A tanti giardini. Si può pensare al giardino dell’Eden, il giardino delle delizie che preferisco chiamare giardino della riconoscenza, perché l’umanità vi è ancora nella gratitudine e nella connivenza con Dio. Poi, nella Bibbia, ci sono tante altre forme di giardini: orti da sogno, giardini regali o del potere, il giardino d’amore del Cantico dei cantici, quello delle brame verso la casta Susanna, il giardino di solitudine del Getsemani e tanti altri. Ma ad accomunare tutti questi luoghi è un profondo intreccio fra natura e cultura». A proposito di quest’intreccio, lei sostiene che il giardino del creato è nell’insieme anche un 'teatro'. Ci sono dunque gesti e segni teatrali da cogliere? «Per 'teatro del creato' si può intendere che tutte le creature hanno un ruolo da svolgere. È la loro interdipendenza concreta che anima la recita, come in una simbiosi universale. E il registro drammaturgico, da un punto di vista cristiano, è quello della convivialità. Questa metafora teatrale tende però a far credere troppo che il copione è già tutto scritto da un autore onnisciente. Il creato è invece in gran parte un’instaurazione, nel senso che la parola di Dio si concretizza nella misura in cui viene ricevuta e messa in pratica. I segni del creato non sono dei segreti nascosti in fondo alle cose, ma un po’ i segni dei tempi di Giovanni XXIII, ciò che notiamo nel mondo come un’attualizzazione della visione d’Isaia, secondo cui «il lupo abiterà con l’agnello'». L’immagine di un 'Dio giardiniere' pare anche legata all’idea di cure prodigate dall’alto… «L’idea di cura è fondamentale nella teologia del creato, anche come preoccupazione molto attuale nel contesto della crisi ecologica che attraversiamo. Concentrarsi sul creato non significa solo riflettere sul buon uso della natura in termini di rispetto, temperanza, giustizia, ascesi, ammirazione, sobrietà. Ciò è necessario, certo, ma questa morale universale non è riuscita a fornire argomenti validi per arginare lo scempio del pianeta. Per i cristiani, la sfida consiste nell’applicare quanto ci dice la Lettera ai Colossesi: Cristo è la prima creatura e tutte le creature possono imitare il modo in cui Gesù aveva cura di tutte le persone che incontrava. Cristo manifestava attenzione e disponibilità a contatto anche con tutti i sofferenti». Il giardino della Resurrezione, estremo momento terreno nella vita di Cristo, riecheggia dunque quello della Genesi? «Gesù è anche il nuovo Adamo e quando si avvicina a Maria Maddalena nella mattina di Pasqua, lei lo riconosce come un giardiniere. Per i cristiani, tuttavia, la vita secondo l’insegnamento di Cristo non ha lo scopo di tornare nel giardino dell’Eden, ma d’instaurare il giardino della città eterna dell’Apocalisse, dove tutti i popoli convergono nella lode e nella pace. Dunque, non vi è giardino senza una sorta di coscienza urbana molto forte». Il giardino, come dicevamo, è pure una sorta di modello dell'ecologia. Ma ha senso parlare di una "ecologia cristiana"?«Se intendiamo l’ecologia come una disciplina scientifica o un orientamento politico, direi di no. Ma se torniamo invece al senso etimologico della parola, spunta l’idea di una casa comune in cui ci si parla. Del resto, non per forza la stessa lingua, come nella Pentecoste. Allora, ha davvero senso parlare di ecologia cristiana, poiché la ricca e feconda tradizione cristiana offre gli elementi per immaginare nuove istituzioni e per permettere a tutte le creature di coesistere in pace sul nostro pianeta». In proposito, come può essere rilanciata una riflessione più profonda dei cristiani sul 'giardino terrestre'? «La riflessione sul creato ha spesso enfatizzato l’orientamento cronologico della storia. Ma in proposito, si è finito per identificare molto spesso il creato solo con la narrazione delle origini nel libro della Genesi.  Nella Bibbia, in realtà, il rapporto con il creato si basa anche su molti altri testi e apporti dottrinali. Vi sono certamente la creazione ex nihilo, dal nulla, il libro di Giobbe, i Salmi. Ma anche tutta la dottrina di san Paolo sulla solidarietà universale delle creature con il Cristo e la grande visione di san Pietro a Ioppe (oggi Giaffa, ndr) negli Atti degli Apostoli, che sono a loro volta delle narrazioni del creato. Vi è tutta una dimensione storica più evolutiva che mostra il dispiegamento del creato nel tempo». Riferendosi sempre ai giardini, lei ricorda anche che il creato è pure una questione di spazio… «In effetti, il creato si dispiega nello spazio. E siamo tanto più obbligati a pensarlo oggi, di fronte alla crisi ecologica. Dobbiamo dunque considerare il creato rispetto a uno spazio che non è solo neutro, geometrico, cartesiano, ma sempre più pure lo spazio sensibile degli esseri viventi. Lo spazio vitale di una tigre è altra cosa rispetto a quello di una formica. E l’umanità vive oggi in gran parte in città dove lo spazio è raro. Per instaurare la convivialità del 'giardino della creazione', dovremo imparare a ben geografare: scrivere e tracciare sulla Terra per renderla abitabile. E sono certo che le Sacre Scritture sono buoni modelli per imparare a scrivere la Terra di domani».
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