martedì 10 luglio 2018
Il cantautore romano ora scrive un musical di successo. «Il prossimo album nel 2019, sarà in vinile e politico»
Il cantautore romano Gianni Togni

Il cantautore romano Gianni Togni

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«Saranno i diciannove anni, saranno le prime vacanze in libertà, due settimane contrattate con i genitori, ma l’estate del 1980 sembra più calda e azzurra delle precedenti... Luna è la canzone dell’estate 1980». Così scrive il critico d’arte Luca Beatrice nel suo nostalgico saggio-romanzato Canzoni d’amore (Mondadori, pagine 356, euro 18,00). Chi, come Beatrice, quell’estate dell’80 viveva a pieno la sua giovinezza, era facile sentirlo cantare, per le strade e le spiagge italiane, quello strano, originale ritornello di Luna: «E guardo il mondo da un oblò / mi annoio un po’...». Il 24 luglio di quella estate calda e violenta (il 2 agosto ci fu la strage alla stazione di Bologna) Gianni Togni festeggiava il suo 24° compleanno al primo posto nella hit-parade. Milano era Giamaica, con Bob Marley e i 100mila cuori lì presenti a San Siro per il re del reggae, che in classifica se la doveva vedere proprio con Togni. «Niente di strano, erano anni in cui anche i Pink Floyd in classifica stavano dietro a Ornella Vanoni, che resiste: la sua canzone Imparare ad amarsi era la più bella dell’ultimo Sanremo». Parola di Gianni Togni, che, in un luglio assolato e rovente, quasi quarant’anni dopo rintracciamo nel suo rifugio capitolino, un palazzo del ’500 vicino a piazza Navona.

Ma è vero che il suo più grande successo, Luna, gliela ispirò un clochard?
«Sì. Quel periodo ero a Milano, prendevo spesso la metropolitana e incontravo questo barbone, un uomo molto pacifico che chiamava ad alta voce il nome di una donna, probabilmente il suo amore: Anna. Infatti la canzone inizialmente doveva intitolarsi “Anna”. Poi è diventata Luna. Il mio più grande successo poi è stato, nell’83, Per noi innamorati che ha venduto 10 milioni di copie e non so quante cover abbia avuto, oltre a una scia lunghissima di consensi che dura ancora».

Una scia lunga quanto il titolo dell’Lp che conteneva Luna: E in quel momento, entrando in un teatro vuoto, un pomeriggio vestito di bianco, mi tolgo la giacca, accendo le luci e sul palco m’invento.... Ma come le è venuto in mente?
«Non riuscivamo a metterci d’accordo sul titolo e allora ognuno di noi, il produttore Lucariello e il mio amico di scuola e paroliere Guido Morra, cominciammo ognuno una frase. Lucariello, geniale ci fa: “Mettiamo la virgola e le scriviamo tutte”. Fatto, pubblicato così».

Tornando a Luna, quel «mi annoio un po’» fa pensare che all’epoca si viveva in un tempo in cui esisteva la noia...
«La noia esiste ancora: l’uso, anzi l’abuso dei social lo conferma. Solo chi ha grandi passioni sa combattere la noia, ma questa è un’epoca di grandi solitudini: ognuno si chiude in se stesso con il telefonino in mano e fa fatica a guardare oltre il proprio piccolo schermo. E la domanda che dovremmo porci è: come siamo potuti arrivare a questo punto?»

Sta descrivendo uno scenario da “vuoti a perdere”, un po’ come vennero etichettati gli anni ’80 che furono quelli del suo successo da cantautore, passato dal Folk Studio: Togni il fratello minore di Venditti e De Gregori.
«Un po’ è così. E pensare che gli anni ’70 erano stati forse gli ultimi anni “pieni”, umani: ci si incontrava al bar, si discuteva e ci si confrontava su tutto, anche con Francesco (De Gregori) e Antonello (Venditti) che mi avevano messo sotto la loro ala protettiva. Ci si riuniva in venti in casa di un amico, magari solo per ascoltare l’ultimo disco appena uscito dei Genesis. Poi è arrivato l’edonismo degli ’80: si faceva a gara a chi aveva la macchina di cilindrata più grossa, il giubbotto più costoso. Molti si sono cullati su un benessere ostentato per poi rendersi conto che era stato solo un grande bluff. I ragazzi degli anni ’80 hanno fatto figli e li stanno crescendo nel culto del dio denaro e nell’ignoranza che ogni giorno prova ad avere la meglio sulla cultura. Purtroppo, spesso ce la fa».

Il mondo della musica riesce a difendersi?
«Non mi pare. A volte mi affaccio nella Rete e leggo soggetti che fanno delle critiche tranchant senza essere mai stati in una sala di registrazione, senza dire come e dove ascoltano quel disco. Non sanno cosa sia una bobina a due pollici, però da tuttologi eletti dalle tribù degli ignoranti, come loro, si permettono di distruggere il lavoro di anni di un artista a scapito dei “nuovi fenomeni” costruiti a tavolino a uso e consumo della televisione o del pubblico dei social».

Allude alla moda dilagante dei rapper all’italiana?
«L’altra sera con il mio amico Massimo Ranieri guardavamo in tv un programma in cui si esibivano dei cantanti giovani e nello stesso istante ci siamo detti: ma sono tutti uguali, potrebbero scambiarsi le basi e non li distingueresti. Io non ho nulla contro il rap, negli anni ’90 incisi Ho bisogno di parlare che era una canzone antesignana del genere, ma la incisi provando il massimo rispetto per quella forma di protesta civile e politica resa in musica che era il rap dei ghetti americani. Qui da noi in tv passa ogni cosa, a turno imperano o l’ultimo improvvisato o il vintage. Io non vado più ospite perché siamo all’assurdo: in tv “vietano” di cantare le canzoni nuove».

Dalle sue parole avvertiamo sfiducia e voglia di distanza dall’attuale panorama musicale.
«Sì, ma poi non riesco a liberarmi dalla canzone e continuo a fare musica con una mia etichetta. Amo profondamente il mio mestiere e lo farei anche gratis. Non ho mai scritto un brano pensando: ora con questo faccio i soldi. Mi piace esibirmi dal vivo ma solo se mi chiamano in un teatro o in locali dove la musica è al centro di un progetto artistico autentico. Di feste di piazza ne potrei fare ottanta l’anno, ma a tutti rispondo di no. Non è snobismo, piuttosto preferirei scaricare la frutta ai mercati generali».

E invece in Svezia, dal 2001, scaricano sugli iPod i brani del suo G & G, il musical sulla vita di Greta Garbo
«Il mio secondo musical sinfonico, dopo Hollywood con Massimo Ranieri protagonista e la regia di Patroni Griffi, ma all’inizio non volevo accettare l’offerta dello Stadsteatern. Quella storia di Greta Garbo non la sentivo nelle mie corde. Poi invece mi ha ispirato e per due anni ho vissuto sugli aerei tra Roma e Stoccolma, ho curato tutto l’allestimento di G & G. Un successo tale che mi ha spinto a scrivere un altro musical, Poveri ma belli, sempre per Massimo (Ranieri, ndr). E in futuro lavorerò ancora per lo Stadsteatern».

Ma i suoi fan, quelli che la seguono dai tempi di Luna, aspettano il nuovo album.
«Intanto due anni fa, dopo tante ricerche, finalmente ho scovato cinque canzoni mancanti di un album del 1977 e le ho rimasterizzate intitolandolo Canzoni ritrovate – 1977. Il prossimo album, che sarà prodotto in vinile (sono un collezionista e ne possiedo oltre 4mila) con un cd dentro (contenente 6 brani in più, quattro in versione acustica e due strumentali), dovrebbe uscire nella primavera del 2019 e posso soltanto anticipare che sarà un “disco politico”... Non aggiungo altro».

Un Togni “politico”, dopo essere stato un grande cantore dell’amore (l’apice con il singolo Giulia, autoprodotto e primo in classifica nel 1983) e anche della spiritualità con le musiche della colonna sonora di Madre Teresa di Calcutta, il programma Mediaset.
«Una canzone può dire tante altre cose: anche quando nasce per essere una canzone d’amore, sarà poi il tempo a decifrare il messaggio e l’impatto emotivo che ha avuto sul pubblico. Sulla spiritualità anche in Luna canto “guarda che anch’io ho fatto a pugni con Dio”. Per me spiritualità vuol dire essenzialmente non alzare mai l’asticella per il semplice gusto di superare i propri limiti, perché la vita mi ha insegnato che è a quel punto che rischi di perderti. Se sei un uomo felice e realizzato, in famiglia come nel lavoro, puoi anche stare bene semplicemente guardando il mondo da un oblò».

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