venerdì 26 gennaio 2024
Fu uno dei più richiesti decoratori d’interni del suo tempo, ma venne presto dimenticato per quasi un secolo e mezzo: da vent’anni è stato riscoperto. La città lo celebra nel bicentenario della morte
Felice Giani, “Mosè fa scaturire l’acqua dalla roccia” (18151820)

Felice Giani, “Mosè fa scaturire l’acqua dalla roccia” (18151820) - / Bologna, Palazzo Bentivoglio

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L’anagrafe, ma anche la capacità di rileggere la storia e il mito, ci dicono che l’appartenenza di Felice Giani (1758-1823) è da ascriversi al neoclassico, tuttavia il suo immaginario, sentimentale, visionario, lontano dai freddi dettami di un Winckelmann, è anche verosimilmente vicino a una indole romantica. Lo dimostra questa mostra bolognese dal titolo Felicissimo Giani, curata da Tommaso Pasquali a Palazzo Bentivoglio. dove l’artista lavorò per importanti decorazioni, in occasione del bicentenario della sua scomparsa. La mostra, aperta fino al 25 febbraio, si dispiega per nuclei tematici attraverso quarantaquattro opere dialoganti lungo il percorso espositivo con quattro lavori contemporanei di Pablo Bronstein, Flavio Favelli, Luigi Ontani e Franco Raggi che firma anche l’allestimento della mostra, intesi come contrappunti “neo-neoclassici”. Obiettivo del curatore è quello di restituire con questa esposizione «la vitalità e la forza» alla produzione di questo straordinariamente prolifico pittore e decoratore che per decenni godette tra Sette e Ottocento di una fama e un’ammirazione incondizionate per essere poi dimenticato, dopo la morte, per quasi centotrenta anni.

La sua riscoperta è relativamente recente. Risale al 1950 grazie a Roberto Longhi che sulla rivista “Paragone”, da lui fondata nello stesso anno, ospitò saggi di Ennio Golfieri e Antonio Corbara, mentre un paio d’an-ni dopo Luigi Servolini ricostruì gran parte del percorso artistico di Giani grazie alla documentazione fornita Riccardo Giani, discendente di Felice, che possedeva un taccuino su cui il pittore aveva annotato vent’anni di memorie della sua vita. Una vita nomade che lo vide presente in giro per l’Italia, da Napoli a Venezia, transitando per Genova, Perugia, Spoleto, Jesi, Cesena, Forlì, Faenza, Rimini, Ravenna, Ferrara, Roma e Bologna, soprattutto, dove sono tante le residenze aristocratiche e i palazzi pubblici in cui Giani ha lavorato con la sua bottega costituita da un nutrito gruppo di collaboratori artigiani, ebanisti, stuccatori, plasticatori, pittori.

Felice Giani, “I santi Clemente e Vitale pregano la Vergine per la fine del morbo” (18051810)

Felice Giani, “I santi Clemente e Vitale pregano la Vergine per la fine del morbo” (18051810) - / Bologna, Palazzo Bentivoglio

Sapiente interprete dei gusti e delle aspirazioni dei committenti che costituivano la classe dirigente dell’epoca allineata «ai nuovi principi dell’art de bien vivre» dell’Europa moderna, Giani ha sperimentato tecniche nuove come l’uso della tempera stesa sull’intonaco bagnato che donava colori vivaci e splendenti. Nei suoi cicli decorativi le figure e l’ornato sono armonicamente accordati e gli ambienti raffinati, arricchiti da motivi in stile pompeiano sono, come precisa in catalogo Anna Ottani Cavina, già autrice nel 1999 dei due monumentali volumi su Giani e la cultura di fine secolo, «vibranti e pieni di luce e, nelle immagini ispirate al mito e alla storia, riflettono la destinazione dell’ambiente, riconoscibile subito». L’apertura della mostra è affidata a due rare tempere che sono testimonianze mature del virtuosismo di Giani. Si tratta di due tondi, il Trionfo di Cibele e il Trionfo di Bacco, dipinti nel 1810 sul soffitto di una sala da pranzo di Palazzo Bentivoglio, prelevati un secolo fa per essere destinati al mercato e attualmente in collezione privata, che tornano per l’occasione nel luogo d’origine.

Il primo dei tre ambienti espositivi è dedicato agli esordi ( Autoritratto, 1780), tra i venti e i trent’anni, nel corso dei quali Giani riscosse i primi riconoscimenti ( Moltiplicazione dei pani e dei pesci, 1789), dove è riconoscibile il debito dapprima verso la formazione bolognese con Ubaldo Gandolfi e poi nei confronti della successiva lezione di Pompeo Batoni ricevuta nella Roma cosmopolita del tempo, dove mise piede nel 1780. Nella seconda sala troviamo una serie di opere che alludono al rapporto libero e creativo che l’artista intratteneva con i suoi principali modelli, l’antichità classica e la pittura del Cinque e Seicento, che orientavano anche la costruzione dei paesaggi d’invenzione.

In Giani, tuttavia, «i forti contrasti chiaroscurali, la potenza gestuale del segno e il carattere soverchiante della natura» – scrive Pasquali – suggeriscono un sentimento preromantico, vicino alle tensioni espresse dagli artisti nordici della cerchia romana di Füssli. Quindi, nella terza sala, accanto al nucleo di opere incentrato sulla straordinaria attività di decoratore di interni (preziose, in proposito, le due gouache preparatorie per la sala di Enea di Palazzo Marescalchi a Bologna che tornano visibili dopo oltre quarant’anni di oblio) è proposta una campionatura di lavori eterogenei connotati dalla tecnica fluente e dalla straordinaria velocità esecutiva che è stata da sempre congeniale a Giani.

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