giovedì 8 dicembre 2022
Incontro con la scrittrice il cui ultimo romanzo, appena uscito in Italia, ha avuto nel suo Paese molto successo: una saga familiare che mette a nudo il buono e il marcio di un popolo
Amira Ghenim

Amira Ghenim - Kheridine Mabrouk/edizoni e/o

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«Una storia antica di alterigia, vanagloria, ostentazione e vanto attraverso cui la nostra sventurata famiglia ha imparato a tenere le proprie ferite al riparo da occhi indiscreti». È una vicenda ricca e complessa quella narrata da Amira Ghenim nella Casa dei notabili, uscito a fine novembre per le edizioni e/o (pagine 416, euro 19,00). Accademica e scrittrice tunisina, l’autrice riesce a rendere in un linguaggio accurato e appassionante (ottimamente tradotto dall’arabo da Barbara Teresi) una grande saga familiare «zeppa di intrighi, rancori, insolenza e presunzione, traboccante di amori soffocati» nascosti sotto maschere sorridenti per celare «il volto pieno di cicatrici». Il romanzo, finalista all’International Prize for Arabic, ha avuto un successo strepitoso in Tunisia, anche perché tocca alcuni nodi irrisolti di una società strattonata fra tradizione e innovazione. Con al centro la questione femminile.

Amira Ghenim, il suo romanzo è un grande affresco della società tunisina dell’ultimo secolo…

Si tratta infatti di un’epopea che coinvolge due famiglie tradizionali e benestanti, che vivono nella medina di Tunisi, in lite fra loro a causa dei sospetti suscitati da un presunto adulterio tra lalla (signora) Zubeida e il suo precettore si (signor) Taher. Ma l’idillio tra i due giovani è lungi dall’essere l’essenza del romanzo. Ho infatti voluto raccontare la Tunisia degli anni Trenta, un periodo effervescente della nostra storia nazionale, ricco di conflitti politici e culturali, che hanno avuto ripercussioni anche in seguito.

Nel romanzo si trovano personaggi realmente esistiti, come lo stesso Taher el-Haddad, militante per i diritti dei lavoratori e l’emancipazione delle donne. Perché questa scelta?

La società tunisina non sarebbe mai stata quella che è oggi senza i suoi scritti d’avanguardia a favore della promozione della donna e dell’abolizione della poligamia. Questo romanzo vuole in qualche modo rendere omaggio a questo riformatore morto nel fiore degli anni nell’assoluta ingratitudine dei suoi contemporanei.

Anche recentemente, tuttavia, la sua statua è stata vandalizzata. Perché?

Ancora oggi Taher el-Haddad subisce la brutalità dei detrattori delle sue idee. La statua eretta a El Hamma, sua città natale, è stata decapitata nel 2015; la sua tomba è stata dipinta di nero nel 2013. Il simbolismo di questi gesti è forte: indica che il cantiere delle libertà in Tunisia è tutt’altro che terminato.

Un altro personaggio, allo stesso tempo reale e fittizio, è quello di Pascal, pasticciere ebreo, appassionato del suo mestiere e molto vicino ai suoi clienti musulmani. In qualche modo incarna i valori di una società pluralista. Questa società esiste ancora oggi?

Pascal è effettivamente una persona che tutti gli abitanti della mia città natale, Sousse, conoscono perfettamente. E quando ho immaginato un pasticciere ebreo per il mio romanzo, il primo nome che mi è venuto in mente è stato il suo. La Tunisia tra le due Guerre mondiali è stata una terra di mescolanze: moschee, sinagoghe e chiese facevano il suo orgoglio architettonico. Ho voluto riprodurre questa ricchezza anche nel mio romanzo. Accanto a Bahiyya, ad esempio, la giovane ebrea che Mohsen, il marito di Zubeida, sposerà segretamente in seconde nozze, ci sono Katarina l’alsaziana, suo amore di gioventù, e Laura l’italiana che feceva sognare il suocero... Certo, tutti i personaggi sono stati introdotti ai fini della trama, ma tutti incarnano questa società plurale e inclusiva, di cui non si devono cancellare differenze e specificità. Questa società è ancora la nostra e facciamo di tutto perché continui a esistere.

Sempre per quanto riguarda le donne, a un certo punto si parla di ragazze “rovinate” dalla scuola e si biasima lella Zubeida che ha studiato dalle suore e preferisce i libri francesi ai mausolei dei santi musulmani... È una mentalità ancora presente nel suo Paese?

Fortunatamente no. In quel periodo pochissime ragazze andavano a scuola. All’indomani dell’indipendenza, il presidente Bourguiba ha adottato una politica educativa che mirava a formare l’individuo, uomo e donna, senza alcuna discriminazione. Un quarto del bilancio nazionale è stato destinato all’istruzione che per molto tempo è stata una delle migliori nel mondo arabo.

Il suo romanzo rende omaggio alle tradizioni e ai valori più belli della società tunisina, ma non risparmia critiche a credenze e superstizioni e a una mentalità maschilista, conservatrice e ipocrita. È così?

C’è sicuramente anche questo. Da un lato, c’è la vita tradizionale, gli usi e i costumi, i riti, persino la cucina delle nostre nonne. Dall’altra, c’è una satira della classe aristocratica e la volontà di togliere le maschere imposte a una storia collettiva in apparenza piena di virtù ma in realtà infarcita di vizi. Conservatorismo ipocrita, maschilismo, razzismo, sfruttamento dei più poveri, pedofilia; tutte queste pratiche e molto altro sono state messe a nudo.

L’arroganza e la vanità possono essere curate dal declino di un potere bugiardo e dallo sbiadire di un’illusione, come si legge nel suo libro?

Nella vita reale, a volte i grandi cambiamenti sono causati da eventi che sembrano banali. Basta una piccola fiamma per provocare un grande falò. La storia ci ha insegnato a diffidare degli scandali, che spesso non portano a nulla. Sono meri fenomeni di superficie che non incidono sull’essenza delle cose. A volte sono causa di mali ancora più atroci di quelli che li hanno inizialmente provocati. Tuttavia, l’uomo in cerca di liberazione e di autoaffermazione tende a flagellarsi come catarsi, lo stesso fa il romanziere che usa la sua arte per sezionare un passato pieno di marciume.

In tutto questo, c’è anche una critica implicita alla società e alla politica tunisina più recente, che ha causato - e sta causando - disillusione e spesso rabbia soprattutto tra i giovani senza lavoro e senza prospettive?

Qualunque cosa io pensi della situazione attuale della Tunisia, vorrei attirare l’attenzione su un dettaglio: alla fine del romanzo, Hind, la figlia di lalla Zubeida, conclude il suo racconto con una frase ricca di simboli: «Presto tutte le serrature saranno aperte». Una nota di speranza, che ho voluto far risuonare in conclusione. È vero che stiamo attraversando un periodo tumultuoso della nostra storia nazionale. Le sfide sono tante e importanti, i problemi complessi e il futuro appare un azzardo. Abbiamo bisogno di tanta speranza per continuare a credere nella “eccezione tunisina” e per immaginare un futuro migliore per questo bellissimo e martoriato Paese.

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