domenica 3 dicembre 2023
Un saggio di Massimo Giuliani va alle radici storiche, teologiche e geopolitiche del conflitto. E indica spunti per superare la logica della contrapposizione, a partire dalla saggezza rabbinica
Charles van de Velde, “Ghuzzeh” (Gaza), da “Le Pays d’Israel” (1857)

Charles van de Velde, “Ghuzzeh” (Gaza), da “Le Pays d’Israel” (1857) - WikiCommons

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Il 7 ottobre 2023, quando è giunta la notizia dell’attacco dei miliziani di Hamas agli inermi cittadini di Israele, sono rimasto a lungo in silenzio, incapace di articolare una parola. Questa sorta di afasia si è protratta per alcuni giorni, mentre intorno a me assistevo ad una gara a prendere posizione da una parte o dall’altra. Non era difficile riconoscere da quale parte fossero le vittime così come non era difficile capire che quella ingiustificabile violenza era figlia di altre violenze nella spirale perversa dovuta alla pervicace ostinazione con cui in molti si ostinano ad ignorare che la violenza, sic et simpliciter, è una forma di condotta transitiva. Inarrestabile, ingovernabile.

È proprio in ragione di tale evidenza che il pacifismo ha una base di partenza perfino banale: se l’odio e la violenza non hanno mai risolto un conflitto, quali alternative abbiamo al dialogo che non sia il dialogo stesso? Quando si è sopraffatti dagli eventi, quando si è subita una violenza indicibile o quando si è costretti costantemente a vivere all’interno di condizioni disumane, è evidente che il dialogo non violento richiede il coraggio dei miti, l’esatto contrario della forza dei deboli. Soprattutto, il dialogo richiede competenza e conoscenza circostanziata.

Va dunque segnalata con interesse la pubblicazione del volume di Massimo Giuliani, Gerusalemme e Gaza. Guerra e pace nella terra di Abramo (Morcelliana, pagine 112, euro 12,00) in cui si offre un’analisi dettagliata di Gerusalemme e Gaza, esplorando le loro rappresentazioni nella Bibbia e nelle tradizioni rabbinica e islamica. Giuliani ci permette di immergerci nelle radici culturali del conflitto israelo-palestinese, svelando come le narrazioni storiche e religiose si intreccino con le attuali tensioni.

Il percorso del volume inizia con un’analisi di «Storia, memoria e teologia politica per “capire Israele”», dove si pone le basi per una comprensione storico-politica del contesto israeliano. Prosegue con un esame della «Città di Gaza nella Bibbia e nella storia ebraica », esplorando il suo ruolo e significato. Segue un’indagine sui «Significati della “promessa” fatta ad Abramo» intitolata «Terra Santa o terra del Santo? », che riflette sul concetto teologico di terra promessa. Il quarto capitolo, «Guerra e pace nel pensiero religioso ebraico », analizza il rapporto tra dottrina religiosa e questioni geopolitiche. Conclude con una riflessione sul futuro, proponendo un « Progetto politico per Israele e Palestina dopo l’incendio e il lutto».

Non può esserci dubbio, argomenta Giuliani, che i tragici eventi del 7 ottobre 2023 rappresentino un punto di svolta, essendo essi il simbolo di una volontà annichilatrice nei confronti di Israele. Tuttavia, «a motivo delle modalità della pace bisogna sapere quando e come scendere a compromesso tra i litiganti, tra quanti sono in conflitto o in guerra». Emerge qui uno dei principali meriti del volume di Giuliani che, non limitandosi a fornire una puntuale ricostruzione storica, si incammina per la via necessaria ed impervia di fornire alcune chiavi di lettura che effettivamente di ragionare sottraendosi alla logica della mera contrapposizione tra le parti in cerca di un approccio alternativo.

Attingendo all’etica religiosa ebraica, per esempio, Giuliani ricorda un antico midrash in cui si narra di come gli angeli vennero redarguiti dall’Onnipotente per aver intonato canti durante l’affondamento degli egizi. Qui risiede la saggezza profonda dell’ebraismo: non si glorifica la sofferenza altrui, né si celebra la caduta del nemico. In un altro passaggio del libro, l’autore evoca le riflessioni del rabbino Jonathan Sacks, che nel suo scritto Non nel nome di Dio impiega argomentazioni etico-esegetiche di matrice biblica per contestare la giustificazione teologica delle rivendicazioni belliche ebraiche.

In un altro passaggio del volume, Giuliani fa riferimento a Yeshayahu Leibowitz, il quale osa criticare la dichiarazione di indipendenza dello Stato di Israele, affermando che la vera origine del popolo ebraico non è la terra di Israele, bensì il deserto, un luogo senza confini definiti. Queste posizioni, che ovviamente si candidano a suscitare dibattiti critici, hanno l’indubbio pregio di superare le semplici dicotomie e stimolare ulteriori riflessioni.

È, questo, un modo di portare nelle pratiche la Mipnè darkè shalom, una categoria legale radicata nella Mishnah Gittin, un approccio logico differente, che potremmo definire “logica della conciliazione”. Saremo in grado di fare tesoro di una tale logica? Nelle situazioni estreme, le nostre reazioni sono spesso dettate dalla paura, un’emozione radicata nell’incertezza e nella percezione di una minaccia imminente. Questa condizione ci induce a cristallizzarci in posizioni rigide o a rifugiarci all’interno di confini identitari, dove emergono logiche di contrapposizione e si erigono barriere metaforiche. In tali contesti, l’esercizio del ragionamento autonomo o lo sviluppo di una prospettiva personale possono essere percepiti con sospetto, come se fossero un abbandono di questi confini.

Il lavoro di Giuliani ci offre una via d’uscita da questa logica di isolamento, spronandoci a un esame critico e consapevole delle intricate realtà che ci circondano. Ci incoraggia a sfidare le paure che spesso stanno alla base delle nostre chiusure identitarie, aprendo così le porte alla speranza e al dialogo che ci guidano verso un futuro di maggiore armonia e comprensione reciproca in cui le diversità si intrecciano in una sinfonia di umanità condivisa.

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