martedì 26 giugno 2012
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​Rieccoli, i tedeschi. Nemici ritrovati, eterni rivali delle battaglie sull’erba, da una vita in attesa di rivincita nei nostri confronti. Che botte pazzesche hanno preso dall’Italia: l’immortale 4-3 scolpito nella semifinale di Messico ’70, lo storico 3-1 della finale del mundial ’82. E poi la ferita che brucia più di tutte, la semifinale persa nei supplementari tra le mura amiche di Dortmund, sotto i colpi di Grosso e Del Piero, nel Mondiale giocato in casa. Era il 4 luglio 2006 e quella data i tedeschi se la sono segnata a fuoco sul calendario. Da quel giorno covano la vendetta: giovedì a Varsavia proveranno a consumarla. Tra Mondiali ed Europei, però, non sono mai riusciti a batterci. Sette sfide, con un bilancio di tre (epocali) vittorie azzurre, farcite con quattro pareggi. In trenta scontri totali (22 amichevoli) si contano 14 vittorie italiche, 9 pareggi e sette successi germanici. L’ultimo risale al 1995, nel torneo celebrativo del centenario della federazione svizzera: 2-0 per i bianchi, gol di Helmer e autorete di Paolino Maldini. Era sì una partita ufficiale, ma valeva una coppa del nonno.Quando il risultato conta davvero, i panzer finiscono sempre con il rimbalzare contro la nostra nazionale. La storia dice questo. Sarà stato per quel loro antico modo di giocare: attaccare a testa bassa e metterla sul piano fisico, come se la difesa azzurra fosse da demolire più che da superare. Dopo anni di dolorose testate contro il muro, finalmente hanno capito. E dopo il 2006 hanno deciso di cambiare. Meno muscoli e più talento, senza disdegnare di pescare a piene mani nella fantasia degli immigrati, che hanno sparso imprevedibilità sui monotoni schemi teutonici. Nella Germania di Loew la fonte di gioco è turca (Ozil), la velocità polacca (Podolski), la geometria nordafricana (Khedira). I tedeschi non si muovono più su rigidi binari, ma fanno girar palla che è un piacere, rigorosamente rasoterra. Il copione tattico è scritto sapientemente da Loew, ma gli interpreti sono liberi di improvvisare seguendo la loro vena creativa.I gol li garantisce Mario Gomez, un lungagnone tedesco nel fisico ma spagnolo, dunque mediterraneo, nella malizia che sa mettere in area piccola. Poi c’è Klose, l’Inzaghi polacco venuto a perfezionarsi nel campionato italiano. Non a caso l’unico reparto rigorosamente “made in Germany” è la difesa, granitica come da tradizione: Badstuber e Hummels sono i due pilastri, Lahm è lo speedy gonzales che sfreccia sulla fascia. L’anello debole sembra Boateng, fratellone a volte un po’ svagato del milanista Kevin Prince. Una rivoluzione, quella di Loew, che ha ridotto lo spread calcistico tra noi e loro, forse l’ha addirittura ribaltato. La Germania ci spera. «Il passato non conta», azzarda Ozil. Ma sotto sotto i tedeschi toccano ferro.
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