sabato 2 luglio 2011
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La lettera fu inviata a venti Paesi in lingue diverse; la richiesta era insolita: «Stiamo cercando delle strade per mettere in contatto i bambini della Germania con i libri per bambini provenienti da tutte le nazioni. I bambini tedeschi non hanno neppure più un libro, dopo che la letteratura per l’infanzia del periodo nazista è stata tolta dalla circolazione (…). I bambini non hanno nessuna responsabilità nella guerra ed è il motivo per cui questi libri per loro dovrebbero essere i primi messaggeri di pace». Nonostante il suo ottimismo Jella Lepman sapeva di essersi imbarcata in un’avventura complicata. Ebrea tedesca di Stoccarda, che aveva lasciato il Paese nel 1936 pensando non tornarvi mai più, a 45 anni in Germania ci tornò, come consulente degli Stati Uniti che proprio a lei – giornalista, che a Londra si stava occupando del ruolo delle donne nel dopoguerra – affidarono una missione tutta da inventare: progettare la ricostruzione culturale ed educativa delle donne e dei bambini tedeschi nell’area di occupazione americana. Era il 1945, l’attendeva un Paese sconfitto e devastato. La guerra aveva travolto case e città, cultura e civiltà. Bisognava ripartire da zero, ma come? Quel popolo – avrebbe spiegato nella sua autobiografia La strada di Jella. Prima fermata Monaco, tradotta e pubblicata in Italia dall’editrice Sinnos (pagine 192; 12 euro) – aveva bisogno di qualcosa di saldo a cui aggrapparsi; occorreva rimetterlo «sottosopra nuovamente nel verso giusto, cominciando dai bambini», che avrebbero mostrato agli adulti la strada da percorrere. I libri sarebbero stati il nuovo cibo per la mente di una generazione che andava salvata. Ma quali libri? Il nazismo li aveva spazzati via tutti e, nonostante le buone intenzioni, soldi non ce n’erano. Non rimaneva che chiederli al resto del mondo e gratis. Nasceva così il progetto della Mostra internazionale dei libri per bambini cui avrebbero potuto contribuire i Paesi e gli editori di tutto il mondo. Jella Lepman chiese anche disegni realizzati dai bambini: immagini che, parlando una lingua universale avrebbero rallegrato i piccoli. Le risposte non si fecero attendere a lungo. Giunsero lettere da Francia, Olanda, Danimarca, Italia, Inghilterra, Svezia... E, dopo le lettere, i volumi: oltre quattromila. Solo il Belgio rifiutò: «Siamo stati invasi due volte dai tedeschi. Ci dispiace dover rifiutare», dissero. Fu però la forza della Jepman a convincerli: sarebbe stato nel loro interesse aiutare a educare una generazione di tedeschi in grado di garantire che non si dovesse mai più temere una terza invasione. La raccolta di libri inviata dal Belgio fu tra le migliori. Alla Mostra serviva anche una sede. Jella adocchiò la Haus der Kunst, la casa dell’arte voluta da Hitler e sfuggita alla distruzione. In quel mausoleo di fantasmi, dove ogni segno del nazismo avrebbe dovuto essere cancellato – pensò – l’innocenza dei libri per bambini avrebbe cacciato gli spiriti maligni. E così fu. Il 3 luglio 1946 la Mostra aprì le porte. Un giorno meraviglioso in cui la realtà superò il sogno. I bambini entrarono a frotte e allegri, sorpresi per tanto ben di Dio. Sorpresi rimasero anche gli adulti che temevano sfracelli: i libri erano in prestito, per chiunque rappresentavano un tesoro ma vennero maneggiati come oggetti sacri. E quando, tempo dopo, la mostra itinerante chiuse, con un bilancio di un milione di visitatori, i volumi mancanti erano pochissimi. Il giorno dopo l’inaugurazione sul Neue Zeitung, il quotidiano americano in lingua tedesca, un articolo di Erich Kastner raccontava: «Tra i gentiluomini presenti c’erano il signor Till Eulenspiegel, il barone di Munchhausen, Tom Thumb e il pifferaio di Hamelin, Pierino Porcospino da Francoforte(…), i signori Robin Hood, Robinson Crusoe, Gulliver, David Copperfield e Oliver Twist dall’Inghilterra, Kim dall’India, l’ultimo dei Moicani e lo zio Tom dagli Stati Uniti, il Soldatino di stagno dalla Danimarca e molte altre celebrità». Il successo fu indiscutibile.Che la Mostra venisse trasformata in Biblioteca internazionale per ragazzi fu il secondo miracolo compiuto dalla geniale Jella Lepman, grazie al sostegno della sezione Umanitaria della Fondazione Rockefeller di New York e persino al coinvolgimento di Eleanor Roosvelt. Tre anni dopo, era il 14 settembre 1949, con i bambini che leggevano brani dei loro libri preferiti e una grande festa, si inaugurò a Monaco la Biblioteca. Quello fu il primo nucleo della Biblioteca internazionale di libri per bambini, la Jugendbibliothek, che oggi conta oltre 500 mila volumi. È un vero peccato che la prima mostra italiana che ci ha fatto conoscere con fotografie, documenti rari e libri d’epoca la straordinaria avventura di Jella Lepman – curata da Anna Patrucco Becchi, risultato di una collaborazione tra la rivista Andersen e il Goethe Institut di Genova – sia passata come una meteora alla Biblioteca «De Amicis» di Genova. Anche questa meriterebbe di diventare itinerante.
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