martedì 7 agosto 2018
Intenso, volutamente cristiano. Il sentimento che lega il filosofo alla moglie riemerge in queste lettere dal passato, come una relazione fra giganti
Giovanni Gentile (Publifoto/Olympia)

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Sbaglierebbe chi, affidandosi alla semplicità epigrafica del titolo del volume, ritenesse queste gentiliane Lettere alla fidanzata. 1898 1900 (Le Lettere, pagine 403, euro 34) un testo di vita familiare, privata; cui peraltro concorre la veste editoriale: una pregiata riproduzione fotografica dei testi, senza note (compendiate nell’introduzione di Hervé Antonio Cavallera), come a voler contenere queste lettere in un ambito ristretto, ancora familiare, senza paludamenti accademici. Ma il contenuto scavalca agevolmente ritegni o ritrosie, e offre ben più di un garbato svelamento sentimentale. Erminia Nudi, destinataria delle lettere, è la giovane figlia del padrone della casa di Campobasso, presso cui il ventitreenne professor Gentile prese a pigione una camera quando, nel 1898, fresco di diploma alla Normale di Pisa e di perfezionamento al fiorentino Istituto di studi superiori (progenitore della 'Cesare Alfieri') andò a insegnare presso il locale liceo 'Mario Pagano'. L’'Erminiuccia' di queste lettere ha il diploma di insegnante elementare, e insegnerà (con partecipata apprensione del fidanzato, maestro anche di pedagogia, timoroso che un carico eccessivo di ore di lavoro, dalle 8 alle 15, potesse nuocere alla salute della giovane insegnante). L’amore nacque subito, considerando che già la prima delle lettere, che coprono un arco temporale che va dal 31 dicembre 1898 al 21 novembre 1900, scritta dunque a poche settimane dall’inizio dell’anno scolastico, testimonia dello svelamento dell’amore «che sonnecchiava nei nostri cuori» ('amore' al singolare, capace di dirompere e superare gli 'amori', specifica Gentile). Un amore che sarebbe sopravvissuto all’età e alla fine fisica dei corpi, di cui entrambi gli innamorati, si direbbe, ebbero evocativa e presaga consapevolezza: alla morte dell’amato, assassinato il 15 aprile ’44, Erminia non sarebbe sopravvissuta molto: si sarebbe ricongiunta a lui il 9 gennaio ’45.

Essenzialmente queste lettere sono scritte nei periodi di vacanza scolastica, quando cioè Gentile, lasciata Campobasso, tornava presso la sua famiglia di origine a Castelvetrano e d’estate a Campobello di Mazara. Erminia è destinataria allora di lettere capaci di indicarci quella radice inafferrabile di dolore antico, inespresso, ineffabile moltiplicatore di dignità, infisso nei labirinti antropologici della 'insulitudine' siciliana: inespresso, dignitoso e doloroso il rapporto di Giovanni col padre, antico farmacista travolto dalle nuove norme burocratiche necessarie all’esercizio della professione, cui non si adegua, resiste, si isola dal paese e dalla famiglia, e va a salutare il figlio Giovanni (ormai appellato in piazza, con ogni riguardo, come 'signor professore' o 'lo scienziato') solo alla vigilia del suo ritorno a Campobasso. Una società arcaica capace di maturare sentimenti silenti che quando si manifestano dirompono passionalmente, anche per questioni politiche, come lo scontro del fratello di Giovanni, Pietro, con i rappresentanti di un potere locale prepotente, o per garbugli testamentari. Erminiuccia è depositaria di queste confidenze, come delle passeggiate e dei bagni solitari di Giovanni sotto 'il cielo di cobalto' in quel lembo meridionale di mare che ne assorbe e ne reintegra le energie: il lavoro su Spaventa stenta a concludersi, ma riparte. Quello sulla filosofia di Marx frattanto è andato guadagnando robusti consensi. Ecco le sorprese di queste lettere: Erminiuccia è non solo destinataria di espressioni d’amore, non solo procura giornali e riviste (tra cui un fascicolo appena edito della 'Revue philosphique' presso la biblioteca del liceo di Campobasso nell’estate del 1898!) ma è già compagna partecipe della prorompente vita intellettuale del suo Giovanni. Ne segue gli scritti nel loro divenire, ne legge le recensioni, è messa al corrente di interventi filologici sulle traduzioni di testi tedeschi di Marx, segue la polemica con Labriola e Sorel, presta al suo fidanzato, per l’estate, le Confessioni di un ottuagenario di Nievo. E quando si aprirà la prospettiva di un trasferimento di Gentile al liceo 'Vittorio Emanuele' di Napoli, sarà dunque 'introdotta' in questo nuovo vivace contesto: vi appare subito Croce che ha appena cambiato casa e mentre, ancora in fase di trasloco, viene sistemando la vasta biblioteca, riceve Gentile che da allora sarà regolarmente ospitato a cena, e seguìto negli studi, nelle ricerche, nelle polemiche; una Napoli in cui s’aggruma un’intensa vita intellettuale: Gentile vi ritrova Sebastiano Maturi, e l’antico maestro pisano Ettore Pais, e Francesco D’Ovidio… Ed Erminiuccia è epistolarmente presente, nota ormai agli amici degli anni normalistici, moglie dal 9 maggio 1901 del professor Gentile del 'Vittorio Emanuele' di Napoli. Alla costante delicatezza dell’espressione dei sentimenti in queste lettere s’accompagna una ricerca, quasi un’ansia di assoluto nell’amore che evoca la radice cristiano-cattolica della formazione di Gentile (giunta poi a esplicita dichiarazione teoretica del 'proprio' cattolicesimo con La mia religione del ’43 che dette vita a infinite discussioni); e con essa l’esaltazione della famiglia come custodia di quel fuoco d’amore, che si riversa nella vita associata sotto forma di etica del lavoro che, nel caso di quei maestri, assume le forme antiche e allora vive della specifica vocazione, come se religiosa, all’insegnamento. Giganti di un tempo ormai volutamente sradicato dalla nostra memoria: troppo ingombrante, troppo pesante da sostenere; impossibile confrontarcisi

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