domenica 26 giugno 2011
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Alla fine del XII secolo i Mongoli, figli del lupo grigioblu e della cerva fulva, vivevano nei luoghi più splendenti e inabitabili tra i monti Altai, Khangaï e Kenteï, e le steppe della pre-Siberia, a nord di Gobi. Erano stati un popolo di montagna. I loro antenati ancestrali erano partiti dalle rive del lago Baikal e si erano stabiliti presso le sorgenti dell’Onon, vicino alla montagna sacra del Kenteï: domina i suoi picchi di granito e gneiss il loro dio supremo, l’azzurro Tengri, il Cielo. Nella steppa, dove le temperature passano dai 42,6 gradi sottozero e i 38,2 d’estate, partecipavano alla freschezza di marzo, che prepara «il sorriso della steppa»: «L’erba fitta è punteggiata dal giallo acceso delle crucifere e dei botton d’oro, del violetto dei cespugli di timo, del viola intenso degli iris, del bianco purissimo delle stellarie o del tenue velluto delle edelweiss». Si disseccavano nella fornace del luglio, che arde le pianure in un giallo compatto. Si tempravano nel rapido incalzare del gelo, che inizia a ottobre. I volti appiattiti dal vento, cavalieri e piccoli cavalli erano uno. Dovevano tutto ai cavalli. Ma la mobilità, l’instabilità, l’infedeltà, il tradimento, la razzia, la ferocia, la violenza, la pratica consueta dell’assassinio, la divisione dei loro clan, tipici della vita nomade, vennero di colpo trasformati in una forza inarrestabile, dall’apparire di un genio della guerra come Temujn, acclamato poi Gengis Khan, che riuscì a imporsi sulle tribù in conflitto, fino a costruire un impero che alla sua morte si estendeva dalla Cina alla Persia. Al padre Ysugei il Coraggioso andò il merito di avere stabilito alleanza con i misteriosi Kereyit, di razza turco-mongola, che controllavano il desolato territorio che si affaccia sul Gobi, il «mare asciutto» dei Cinesi, politicamente importante perché assicura il transito tra la steppa mongola e la Cina. Per la loro posizione avevano ricevuto la predicazione cristiana. Secondo il siriaco Barebreo, si erano convertiti intorno al Mille, dopo che il loro re era stato salvato dall’apparizione di san Sergio. Il metropolita nestoriano di Merv nel Khorasan (il patriarca era a Seleucia-Baghdad in Iraq) aveva inviato preti per battezzare lui e il suo popolo. In seguito Tolui, figlio di Gengis Khan, avrebbe sposato la principessa kereyit Sorqaqtani, e il cristianesimo si sarebbe diffuso fra i Mongoli per suo tramite. Tra i Kereyt c’erano nomi cristiani, e una delle leggende del «Prete Gianni» diffusa da Marco Polo (oltre alla seconda identificazione con il negus d’Etiopia) sembra riguardare proprio Toghril, fratello giurato di Ysugei, che sarà il primo e più importante protettore di Temujn. Orfano a 9 anni, allevato nel pericolo e negli stenti dalla madre Ho’elun che era stata scacciata dalla tribù, Temujn, gli imperiosi occhi di fuoco, il viso che manda lampi di luce, mostra subito la sua natura dominatrice, imponendosi sui fratelli, poi conquistando tutti coloro che incontra, a cominciare da Jamuqa, l’amico d’infanzia, che diverrà un alleato instabile. Dotato di carisma, astuzia, fermezza, equilibrio, buon senso, intelligenza psicologica e strategica, capacità di ascolto e benignità, ammira il valore, rispetta l’intelligenza e la fierezza femminili. Unendo tutte le qualità dell’eroe e del politico, Gengis inizia l’unificazione delle tribù, cercando l’annientamento di nemici storici come i Merkit, i Naiman (turchi), i Tatari (mongoli), e i «Re d’Oro» cinesi. Si espande nell’Asia centrale, oltre il Turkestan, fino all’impero turco musulmano di Muhammad. Dal 1220 al 1222 i Mongoli entrano in Bukhara, in Samarcanda, in Urgenc, conquistano il Khorasan, distruggono le città della Persia e dell’Afghanistan con le preziose dighe, i canali, i frutteti. Piramidi di teste sono innalzate. Alla morte della civiltà spirituale si affianca quella della terra, mai più risorta. Poco dopo, a distruzione avvenuta, il Conquistatore nomade accetta di sfruttare i vantaggi della civiltà urbana, si incuriosisce dell’islam, che diventa una delle religioni di Stato, con lo sciamanesimo dei Mongoli e il cristianesimo nestoriano. In seguito a una caduta da cavallo, Gengis muore il 18 agosto 1227 a sessant’anni. Splendidi poemi cantano il viaggio funebre verso la montagna sacra delle origini, i massacri rituali, la sepoltura sotto l’albero isolato, che oggi è confuso nella foresta. Ne Il conquistatore del mondo (Adelphi), René Grousset racconta la vita dell’Alessandro mongolo con la precisione dello studioso di gran razza. Interpola le fonti, descrive i luoghi di regioni sterminate con la migliore competenza della geografia storica e archeologica, illustra le trasformazioni avvenute nei secoli. Fonde mirabilmente la scienza con la letteratura. Che meravigliosi racconti si dipanano l’uno dentro l’altro, come l’altissimo epos di Jamuqa, come l’incontro con il filosofo del Tao, pieno d’ironia e saggezza.
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