martedì 22 marzo 2011
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Salvatore Natoli è un pensatore non credente da sempre 'cristiano'. Perché convinto che la Bibbia 'funzioni' anche per gli atei. Il nocciolo della Scrittura - giustizia, misericordia e salvezza - è una 'moneta' spendibile nel mercato della vita da chiunque. Per il docente di Filosofia teoretica all’Università Bicocca di Milano - recente autore dei volumi L’edificazione di sé (Laterza) e Il crollo del mondo. Apocalisse ed escatologia (Morcelliana) - risulta perciò naturale introdurre la nuova edizione del Festival Biblico, in programma a fine maggio a Vicenza. L’appuntamento è per martedì 22 marzo nel capoluogo berico (ore 20.45, Santa Maria in Araceli) con una lectio sul tema 'Di generazione in generazione: filo interrotto?'.Generazione. Questa parola sembra fuori moda. Come va intesa per restituirle attualità? «Troviamo questo termine in un episodio centrale di Genesi, l’alleanza tra Dio e Abramo, 'padre di una moltitudine'. Dio e l’uomo stipulano un patto che dà origine - appunto 'generazione' ­ad una stirpe. Da ciò discende un dato: la non sufficienza del singolo a se stesso. Noi esistiamo dentro la trama di una comunità: riceviamo la vita, non ce le diamo da noi stessi. Da questa inevitabilità sociale si deduce che io vivo perché qualcuno mi ha generato e realizzo la mia esistenza in una comunità. Questa trama è caratterizzata da una reciproca scelta di cooperazione, cui tutti concorrono: la società stessa, e la vita di ciascuno, dipende da questo concorso. Generazione quindi significa anche cooperazione per il bene collettivo, il quale diventa anche il bene del singolo».Hobbes però insegnava che lo Stato nasce perché l’uomo è 'lupus homini'…«Hobbes sostiene qualcosa di vero. Tuttavia il suo ragionamento parte da una finzione logica, ovvero dalla domanda 'dove nasce lo Stato?'. Se gli uomini si uniscono per difendersi, ciò significa che comunque debbono accordarsi su qualcosa. Il patto sociale è salvante, anche ammettendo che gli uomini siano esseri separati. Il modo migliore per vivere resta la comunità».È diffusa la coscienza di un’attuale 'emergenza educativa', cui anche i vescovi stanno dedicando molta attenzione. Come docente lei ha frequenti rapporti con i giovani. Quali sfide e rischi vede su tale fronte?«Ogni generazione innova rispetto alla precedente, ma lo fa in un processo che è anche di accoglimento del passato: l’atto di trasmissione del sapere è fondativo. Il contesto del mondo cambia e sorgono nuovi problemi e produzioni. Il problema sorge se l’uomo accetta di essere l’insieme di passato e futuro oppure se vive solo nel presente. Oggi assistiamo ad un’acce­lerazione del presente e non a caso si parla di 'generazioni' di cellulari, perché i prodotti vengono consumati con celerità. I lavori vengono definiti 'prestazioni sul mezzo', le conoscenze sono brevi, ci si concentra sulla novità del prodotto e meno sulla valutazione del suo significato. Come già segnalava il regista Wim Wenders, siamo immersi in un 'falso movimento', per cui ci si muove sempre ma senza direzione. D’altra parte, sul fronte alimentare, la generazione giovanile è segnata da fenomeni come bulimia e anoressia, in entrambi i casi una non valutazione critica del cibo».Scopo del Festival Biblico è riportare la Bibbia 'in piazza' tra la gente. Cosa ha di più urgente la Scrittura da insegnare all’uomo contemporaneo?«In sintesi gli elementi centrali della Bibbia che possono coinvolgere i non credenti sono tre: giustizia, misericordia e salvezza. Il racconto biblico è una delle grandi forme di credenze umane, come il buddismo o il confucianesimo. La peculiarità della Bibbia è un sentimento forte della giustizia e della legge: di qui la visione di rapporti umani cooperativi in cui il singolo è parte di un tutto. Ma cosa avviene quando l’uomo cerca di giocare la sua partita da solo? Esplode il male. Qui sopraggiunge la misericordia, perché con la sola giustizia l’uomo non cambia. Da ciò scaturisce la salvezza, cioè la presa di coscienza che vivendo secondo giustizia e misericordia gli uomini stanno meglio. Se ci pensiamo, questi valori funzionano anche senza un riferimento trascendente».Da un punto di vista personale, come lei si rapporta alla Bibbia?«Io ho preso sul serio la tradizione ebraico-cristiana. Il comandamento è quello della sequela, Gesù si è fatto norma lui stesso. Quella cristiana è una condizione umana che merita fiducia. Infatti solo se gli uomini si amano il mondo migliora. Altrimenti, saremmo nella condizione di Hobbes: si va sempre verso la guerra, come si vede anche in Libia. Ogni conflitto non finisce mai e in esso tutti sono sconfitti».
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