venerdì 9 settembre 2022
Lo scrittore sudafricano nei suoi libri rispecchia le attese, gli smarrimenti e i tradimenti di una nazione ancora incapace di rappacificarsi con il presente
Damon Galgut

Damon Galgut - Giorgio Boato

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Non sembra il Paese immaginato da Nelson Mandela il Sudafrica dei libri di Damon Galgut, scrittore che nel 2021 si è aggiudicato il Man Booker Prize per La promessa e ora torna in libreria, sempre per le e/o, con Il buon dottore, romanzo – in prima edizione del 2003 – che lo rivelò come grande autore sulla scena internazionale. Alla nostra domanda sul Sudafrica attuale Galgut, che ieri è stato per la prima volta al Festivaletteratura di Mantova e replicherà oggi alla Tenda dei Libri, risponde che le cose potevano andare diversamente: «Si può parlare di promessa tradita, è uno dei motivi per cui La promessa si intitola così». Galgut nei suoi libri rispecchia le attese, gli smarrimenti e i tradimenti di una nazione ancora incapace di rappacificarsi con il presente, e in qualche modo i due protagonisti de Il buon dottore sono la metafora di “vecchio” e “nuovo” in Sudafrica: da una parte c’è Frank Eloff, medico che lavora in un ospedale privo di mezzi e pazienti. Dall’altra Laurence Waters, neolaureato in medicina, giovane, ottimista e pieno di buone intenzioni: «La vera domanda – dice Galgut – è cosa sia il “nuovo” in Sudafrica. All’epoca in cui ho scritto il libro credo di essermi rapportato al narratore del libro come a qualcuno della vecchia generazione, quindi qualcuno di più cinico, mentre i giovani rappresentavano la speranza di un sentimento che poteva cambiare, ma ora quei giovani che rappresentavo io stesso quando ho scritto il libro, sono diventati vecchi e forse anche più cinici». Lo sfondo è quello dell’apartheid, spiega Galgut in una nota, ma quello è l’unico momento in cui la parola apartheid viene citata: «Non volevo – spiega – scrivere un libro che fosse legato alla storia politica, quindi non ci sono nomi o riferimenti precisi; volevo fosse un libro da leggere anche a distanza di anni e in situazioni storiche diverse. Mi piace spogliare i personaggi dal contesto per capire cosa significhi davvero essere umani, creare storie dove possiamo entrare in relazione a prescindere dal contesto storico; la mia non è una lotta contro i potenti, cerco di capire cosa significhi essere poveri oppure avere mezzi». Una di quelle «situazioni storiche diverse» l’ha fornita come sempre l’attualità, ed è stata il Covid, che avrebbe potuto essere un’occasione di cambiamento: «Ma il Covid in Sudafrica è stato una specie di disastro. La situazione economica non andava bene nemmeno prima, il Covid ha ampliato il divario tra ricchi e poveri. Non mi sento fiducioso per il futuro, la situazione è impossibile da risolvere senza un piano politico. I soldi sono ciò che determina il potere, e questo vale per tutte le società. In Sudafrica la situazione attuale non è buona, il potere politico è stato ceduto ma quello economico no. Chi era ricco e potente allora, lo è ancora. La stratificazione sociale è rimasta la stessa e senza soldi non c’è futuro. La nuova generazione in Sudafrica cresce nella stessa condizione di povertà dei genitori e resta senza potere». Quella che racconta Galgut è una storia in cui la povertà insegna qualcosa: «Il Sudafrica è diviso dal punto di vista razziale e c’è crudeltà in quella divisione. Le persone entrano in relazione come sconosciute, con grandi distanze. Io come essere umano e come scrittore ho l’istinto di colmare il divario per andare oltre le divisioni di classe e di etnia ed entrare in connessione, per incontrarsi in modo più emotivo. Per questo credo che la religione sia importante per le persone nel modo di intendere l’essere umano». All’inizio di Il buon dottore un personaggio dice: «Il passato è appena accaduto. Non è ancora passato» e ne La promessa il tempo è uno dei temi centrali: «Il tempo ci fa invecchiare. Il tempo cambia il corpo, la mente, i valori, cambia con i cambiamenti che avvengono. Il tempo si evolve, i luoghi cambiano ed è importante guardare oltre i dettagli contingenti per raggiungere quello che c’è sotto, un luogo mitologico che ci consente di colmare le distanze creando un dialogo sul piano umano ed esistenziale. A me piace immaginare luoghi in cui sia possibile una connessione tra esseri umani fuori dal tempo e questi sono i momenti dell’amore, della poesia, del lavoro creativo, dove non siamo schiacciati dal peso della storia e della politica».

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