domenica 31 gennaio 2016
Gabriel Lima, «L’Italia a ritmo di samba»
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Chiamarlo “calcetto” è ormai fuori luogo. Il calcio a 5 o futsal – così come è noto e diffuso ormai in tutto il mondo – è uno sport che non ha nulla a che vedere con le partite da dopolavoro con amici e colleghi. E se anche in Italia si sta pian piano affrancando dall’etichetta di “fratello minore” del calcio lo dobbiamo alla nostra Nazionale. Agli Europei che si aprono martedì 2 febbraio a Belgrado arriviamo da campioni in carica. Nel 2014 infatti ad Anversa abbiamo vinto il titolo europeo per la seconda volta, battendo in finale la Russia. Un’impresa che porta la firma soprattutto di Gabriel Lima, che dal 2013 è anche il nostro capitano. Nato a San Paolo in Brasile nel 1987, ha la doppia cittadinanza grazie al nonno, Ettore Mancini, originario di Leinì ( Torino). In maglia azzurra, oltre all’Europeo, ha già conquistato due medaglie di bronzo ai Mondiali e agli Europei disputatisi entrambi nel 2012. A livello di club, dopo dieci anni da fuoriclasse nel nostro Paese con le maglie di Aosta, Marca Trevigiana, Arzignano e Asti, nel 2014 è stato ingaggiato nella Liga spagnola dal blasonato ElPozo Murcia. «Sono contento della nuova avventura – dice oggi – ma l’Italia mi manca molto: dalla cultura al cibo, agli amici. Sono arrivato ad Aosta che avevo solo sedici anni e le gioie più belle della mia vita le ho vissute in Italia: la cresima, il matrimonio, la notizia che mia moglie aspettava un bimbo.... Mio nonno piemontese emigrò in Brasile quando aveva diciotto anni: io, scherzando, dico che ho compiuto l’emigrazione inversa. Ma anche se sono nato in Brasile, mi sen- to italiano a tutti gli effetti». I suoi piedi però sono “brasiliani”… «Ho cominciato lì. Già a pochi anni giocavo in strada con mio padre e ho fatto tutti i tornei dai pulcini in su. In Brasile il calcio a 5 è lo sport numero uno. Ai bambini piace molto perché è più dinamico di quello a 11: tocchi tante volte la palla. Io lo considero un divertimento più che uno sport. E poi acquisisci una tecnica che giocando solo a 11 non ottieni». Quali sono le differenze sostanziali con il calcio a 11? «Il gioco è molto più veloce, con continui ribaltamenti di fronte. Le partite si decidono anche in pochi decimi di secondo. I ruoli sono relativi. Devi saper fare tutte e due le fasi, offensiva e difensiva, perché non ti trovi sempre nella stessa posizione. Assomiglia molto alla pallacanestro, anche nei movimenti». In Italia dici “calcetto” e pensi ai campetti con gente di ogni età... «Ma quello è un altro sport. Noi giochiamo sempre al chiuso, sul parquet o al massimo sulla gomma. Purtroppo in Italia manca ancora la cultura del calcio a 5 perché i ragazzini puntano subito sul calcio a 11 mentre in Brasile si comincia col futsal e poi si passa al calcio a 11. L’abbinamento tra i due sport è fondamentale per affinare la tecnica. In Italia poi arriva al calcio a 5 chi magari è a fine carriera o non riesce a sfondare nel calcio a 11. Ma già a sedici-diciassette anni è tardi per assimilare i movimenti essenziali del futsal. Anche se in Italia stiamo crescendo e i risultati della Nazionale grazie anche al nostro mister Roberto Menichelli lo testimoniano». Però in Italia i giocatori di futsal non sono considerati ancora professionisti È vero. Speriamo di poter presto creare un movimento come in Spagna dove i giocatori sono professionisti a tempo pieno e si riesce a vivere di futsal percependo anche due- tremila euro al mese. Certo gli stipendi non sono quelli faraonici del calcio, da noi i campioni riescono a prendere massimo trentamila euro al mese...» Ha mai avuto la tentazione di passare al calcio a 11? «A quindici anni mi chiamò il San Paolo. Però rifiutai perché volevo continuare a studiare. Oggi non mi pento. A differenza del calcio, il futsal non ti porta in un mondo dorato. E mi permette di rimanere semplice anche fuori dal campo. Ma in questo devo ringraziare soprattutto mia moglie Marcela». Perché? «Vengo da una famiglia cattolica. Ma da quando ho incontrato lei ho scoperto quanto sia preziosa la fede. Abbiamo pregato tanto insieme e alla fine abbiamo avuto il regalo più bello: un bimbo che compirà un anno il 4 febbraio. La fede e la famiglia valgono molto più di qualsiasi Coppa. Con Marcela siamo molto attivi nel sociale. Quando eravamo ad Asti ci siamo impegnati con la Caritas e siamo rimasti in contatto con il prete e la comunità. Io suonavo la chitarra in chiesa. E anche in Nazionale con alcuni compagni condividiamo questo cammino spirituale. Sia per ringraziare per quanto ci è donato, sia per aiutare gli altri non solo economicamente ma anche solo con l’ascolto per sentire le sofferenze che portano nel cuore». Quante speranze abbiamo di rivincere gli Europei? «Sarà difficilissimo. Ad Anversa abbiamo fatto un’impresa e rimane il giorno più dello mia carriera. La Spagna è favorita, poi Russia e Portogallo. Ma noi ci crediamo: l’unione del nostro gruppo può fare ancora la differenza». Dal 10 settembre al 2 ottobre in Colombia si giocano anche i Mondiali, competizione che non abbiamo mai vinto. «Siamo in corsa per la qualificazione che ci giocheremo a settembre in Thailandia. Anche per questa competizione siamo fiduciosi. All’ultimo Mondiale nel 2012 siamo arrivati terzi dietro soltanto a Brasile e Spagna, che rimangono le due superpotenze del calcio a 5». Qual è il suo idolo?«Mi piaceva Kaká. E tecnicamente ammiravo molto Zidane. Ma ho imparato che devi conoscere un giocatore anche fuori dal campo prima di farne un idolo. Per questo leggo tanto e mi è piaciuta la biografia di Agassi [ Open, Einaudi, ndr]: è molto sincero nel parlare della sua famiglia. Io però devo ringraziare i miei genitori che mi hanno sempre aiutato e incoraggiato nei momenti di difficoltà ». C’è un motto a cui è particolarmente legato? «Sì, è una frase di sant’ Ignazio di Loyola: “Agisci come se tutto dipendesse da te, sapendo poi che in realtà tutto dipende da Dio”».
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