giovedì 16 febbraio 2023
«Il suo utilizzo pratico è all’origine dello sviluppo sociale e della parola ed è quindi diventato essenziale nella strutturazione simbolica della civiltà»
Il salto del fuoco durante la festa patronale di san Sebastiano a Tortorici (Messina)

Il salto del fuoco durante la festa patronale di san Sebastiano a Tortorici (Messina) - A.Russo - G.Muccio /Fondazione Benetton

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In mille modi il fuoco è al cuore della civiltà. «Si sa bene che ha consentito di cuocere gli alimenti, è divenuto un formidabile strumento per difendersi dalle fiere e proteggersi dal freddo. Ma – commenta Ignazio Buttitta, antropologo dell’Università di Palermo, autore del volume Il fuoco. Simbolismo e pratiche rituali (Sellerio, pagine 212, euro 14,46) – ha anche consentito di riunirsi la sera a dispetto delle tenebre e dialogare. E questo ha permesso di migliorare i rapporti sociali. Tanto che si può ipotizzare che proprio grazie alla padronanza del fuoco si sia sviluppata la capacità di usare la parola. Insomma, è il principale tra gli strumenti di cui la nostra specie è stata in grado di servirsi».

Dunque è questo che rende tale l’essere umano, distinguendolo dalle specie animali?

Già nel Paleolitico medio e superiore i Neanderthaliani, i Cro-Magnon e popolazioni affini sapevano non solo raccoglierlo dagli incendi innescati dai fulmini ma anche produrlo, conservarlo, gestirlo. Questo ha consentito all’essere umano di ridurre la propria dipendenza dall’ambiente naturale e ha aperto la prima grande rivoluzione ecologica. Che segna, come ha scritto Mircea Eliade, “la separazione definitiva tra i Paleantropi e i loro predecessori zoologici”: si è trattato di un salto di specie, il punto di partenza di un processo evolutivo che è esclusivamente umano. Vi sono infatti diversi animali capaci di costruire rudimentali utensili, ma solo l’uomo sa accendere e maneggiare il fuoco. E con questo dominare sulla natura, sin dalla notte dei tempi.

Quando si hanno le prime testimonianze del suo uso?

Difficile stabilirlo, probabilmente già nel Paleolitico inferiore fu adoperato per indurire alcuni utensili di legno. E in seguito per modellare oggetti in terracotta, rendere i terreni atti alla produzione agricola bruciando le sterpaglie, ricavare metalli dalle pietre, forgiare strumenti… Le forme che uscivano dalle mani del vasaio e del fabbro prima non esistevano: chi sa usare il fuoco ha la capacità di creare e, così facendo, di dare ordine al mondo fisico. Ma la forza delle fiamme può anche distruggere e, così come purifica la materia grezza, può pure cancellarla riducendola in cenere. Per conseguenza chi sa dominare il fuoco appare investito di un potere immenso e misterioso, e assume un’aurea di sacralità. Anche perché il fuoco che sale verso l’alto tocca il cielo, raggiungendo una dimensione altrimenti ignota, inarrivabile. Per tutto questo scaturiscono miti e simboli.

E questo avviene ovunque nel mondo.

Per esempio nella cultura vedica il dio Agni, che rappresenta il fuoco, la luce, il sole è visto come il mediatore tra la realtà terrestre e quella ultramondana. E nelle culture mediterranee ecco Prometeo che ruba agli dei il segreto di questo straordinario potere per donarlo agli uomini, e il mito della Fenice che risorge dalle ceneri e dà l’immagine della vita che rinasce purificata. E dopo aver dato origine a miti e rappresentazioni simboliche, il fuoco stimola il pensiero razionale dell’antica Grecia, dove con la terra, l’aria e l’acqua è visto come elemento fondativo del cosmo.

Anche la religione lo recepisce nel suo valore simbolico.

Nella tradizione biblica è associato al manifestarsi di Dio agli uomini: nella colonna che nelle tenebre guida il popolo ebraico durante la fuga dall’Egitto così come nel roveto ardente. Ma è presente anche nella sua valenza distruttrice, poiché cova inestinguibile nella Geenna.

Lei ha studiato anche il modo in cui il fuoco alimenta le tradizioni popolari a carattere devozionale in particolare in Sicilia.

Certo, in molte cittadine si tra-mandano antiche usanze, ancora oggi con ampia partecipazione di popolo nelle feste dedicate ai santi patroni e alle ricorrenze liturgiche. Per esempio a Tortorici durante la sagra del patrono, san Sebastiano, si svolgono fiaccolate che si concludono nella piazza del duomo: qui si forma un falò ed è usanza che i giovani si lancino per superarlo con agili salti tra grida di incitamento e acclamazioni. È una testimonianza di religiosità popolare che forse perpetua anche antichi riti di iniziazione. In ogni caso queste tradizioni costituivano, e ancora costituiscono, un tentativo di rispondere alle inquietudini fondamentali dell’esistere. Spesso chi le pratica desidera assolvere a un voto contratto con il santo a cui è dedicata la festa. Sono l’occasione in cui le comunità desiderano purificare lo spazio e il tempo che abitano e si ha l’impressione che alle feste vogliano consapevolmente consegnare la garanzia della propria identità. Fin quando tanti fuochi si leveranno alti nelle piazze dei nostri paesi e tante fiaccole si agiteranno nelle notti, la memoria, dunque la vita, di intere comunità, continuerà a testimoniarsi e a testimoniare.

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