
Fratel Luc nel 1988 - Archivio famiglia Guillemin - per gentile concessione
Pubblichiamo qui uno stralcio dell’introduzione al libro Fratel Luc di Tibhirine. Monaco, medico e martire (LEV, pagine 224, euro 20,00. In libreria da domani), del giornalista del quotidiano francese “la Croix” Christophe Henning e del monaco Thomas Georgeon, abate del monastero di La Trappe e postulatore della causa di beatificazione dei martiri d’Algeria. Questa biografia, coinvolgente perché scritta con piglio narrativo e capace di svelare la spiritualità di fratel Luc, si avvale della prefazione del cardinale Jean-Paul Vesco, arcivescovo di Algeri. Fratel Luc è una delle figure più singolari tra i sette monaci di Tibhirine, rapiti il 26 marzo 1996 e le cui teste vennero ritrovate (senza corpi) il 30 marzo dello stesso anno: già prigioniero durante la Seconda guerra mondiale dei nazisti per salvare un padre di famiglia, medico, rapito in Algeria durante il conflitto civile, Paul Dochier ha vissuto anni di umile servizio come monaco converso nel monastero in Algeria a servizio della popolazione praticando la sua attività medica.
Fratel Luc si distingue fra i sette monaci trappisti di Tibhirine, martiri e beatificati insieme agli altri dodici religiosi morti in Algeria. Certo, la comunità dell’Atlante riuniva soggetti di grande personalità e dalla vocazione particolare. Ma fratel Luc – Paul Dochier era il suo nome da “civile” – univa in sé una duplice vocazione, quella di monaco e quella di medico. In questo senso era un caso tutto particolare all’interno dell’ordine trappista. E rimane un modello di fede e di umiltà per tutti, credenti o cercatori di Dio. Era uno dei più anziani nel piccolo priorato d’Algeria, arrivato nel 1946 in questo monastero aperto nel 1939. Vi avrebbe vissuto per circa mezzo secolo, testimone di anni dolorosi sia per la comunità sia per quel Paese in cui aveva scelto di abitare. Inoltre, pur essendo medico e dotato di indubbie capacità intellettuali, non ha mai voluto lasciare il suo stato di converso, sebbene dopo il Concilio Vaticano II questa figura fosse stata rivista dalla stessa Chiesa. La biografia di fratel Luc è ricca: il monaco medico ha attraversato l’intero secolo. Nato nel 1914, assassinato nel 1996, è uno dei volti più noti tra i martiri riconosciuti dalla Chiesa durante una commovente celebrazione svoltasi l’8 dicembre 2018 per la beatificazione del vescovo Pierre Claverie e degli altri religiosi. Sotto il sole d’inverno, al santuario di Notre- Dame de Santa Cruz, che domina il golfo di Orano, la Chiesa d’Algeria invitava la Chiesa universale a ricevere in eredità il messaggio dei religiosi martiri morti durante gli “anni neri” d’Algeria, gli anni Novanta. Quello che questa piccola Chiesa dell’Africa del Nord voleva celebrare era anzitutto il loro dono d’amore, ancora prima che il martirio cruento, come papa Francesco ha ricordato nel messaggio fatto pervenire per la beatificazione, nel quale evidenziava «la fedeltà di questi martiri al progetto di Pace che Dio ispira a tutti gli uomini ». Quei monaci, celebrati per la gloria di Dio e la salvezza del mondo, non cercavano affatto il martirio. È quello che ha voluto mostrare fratel Christian de Chergé, l’allora priore di Tibhirine, elaborando nel corso degli anni e nei suoi scritti una vera teologia dell’incontro e del martirio dell’amore. Fratel Luc, da parte sua, scriveva qui e là qualche biglietto e delle brevi lettere, soprattutto a un amico al quale era affezionato fin degli anni dell’università, il dottor Georges Guillemin, residente a Lione. Un legame profondo, un vero confidente, un uomo di scienza e di fiducia: « Attualmente una porzione della società algerina (i poveri) sta affondando», scrive fratel Luc nell’agosto 1992. «In questo naufragio, io voglio restare con loro. Con il caldo la mia salute è fragile e respiro a fatica, ma continuo a vivere». Questa è la via concreta scelta dal medico per stare vicino ai più poveri. Già nel 1953, intervenendo in un convegno della comunità medica di Algeri, fratel Luc sottolineava che il cristiano era invitato a «mettere in atto il suo cristianesimo nella vita di ogni giorno, perché, più che i discorsi, solo questo cristianesimo incarnato nelle azioni potrà contribuire ad apportare la piena risposta inconsciamente attesa». Nessun dubbio sulla sua bella e nobile vocazione come medico del corpo e dell’anima. Ma qual è il ruolo del monaco? « La presenza di un medico tra noi (dal 1946!) continua a contribuire fortemente all’immagine del monastero. La forza del nostro fratello medico e i servizi che egli rende sono un riferimento sia per l’esterno sia per ciascuno di noi», scrive nel 1992 Christian de Chergé in un documento che ha preparato in vista del Sinodo sulla vita consacrata. Al punto che, al momento dell’indipendenza dell’Algeria, si poneva per i monaci la questione del senso della presenza dei monaci trappisti: « La comunità si era sentita chiamata ad investire con più forza nel settore sociale: scuola, distribuzione di cibo, protezione materna e infantile. Ma le circostanze ci hanno portato a rinunciare a questo progetto e a comprendere che la nostra ragione d’essere dobbiamo trovarla in altre situazioni […]. Questo ci aiuta a corrispondere alla nostra ragione ufficiale nella società: “ufficio di preghiera e lavoro modesto”». […] «Quale sarà il futuro? Noi non siamo nelle mani degli uomini ma nelle mani di Dio, e Dio è un Padre. Egli prepara sempre il meglio per noi. Forse agli occhi degli uomini questi eventi sono poco felici, la nostra vita tuttavia non si dispiega solo sul piano terreno, ma anche nel tempo dell’eternità», scrive fratel Luc nel 1990, quando la situazione politica in Algeria inizia a deteriorarsi. Man mano che gli anni passano e la minaccia diventa più forte, le lettere di fratel Luc evocano sempre più la prospettiva di una morte imminente, come questa missiva datata 25 maggio 1994: «Grazie di esserci vicino con il pensiero, mentre siamo in mezzo agli eventi in Algeria. Una religiosa e un religioso sono stati assassinati. Nessuna tregua per la violenza. Siamo come l’uccellino sul ramo, pronto a volare verso altri cieli!». Di fratel Luc, così come degli altri diciotto beati ufficialmente riconosciuti come tali dalla Chiesa, dobbiamo custodire questo coraggio umile davanti alla morte. Come non immaginare che anche lui, Luc, avrebbe potuto firmare il testamento spirituale di Christian de Chergé? «Se un giorno mi capitasse – e potrebbe essere oggi – di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere attualmente tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era stata donata a Dio e a questo Paese».