giovedì 30 settembre 2021
Fu veramente una figura globale, la cui influenza in alcune nazioni è stata enorme, ma in Gran Bretagna prevalse un atteggiamento di chiusura che oggi solo in parte viene corretto
Franco Basaglia nel suo studio in una foto del 1979

Franco Basaglia nel suo studio in una foto del 1979 - Ansa

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John Foot e Tom Burns saranno ospiti sabato 2 ottobre alle 18.30 – insieme a Claudio Risé e Fabrizio Meroi – di èStoria, il Festival internazionale della Storia che si svolgerà da domani al 3 ottobre a Gorizia presso il Parco Basaglia. Il tema scelto per questa edizione è la “Follia”, con più di 100 ospiti protagonisti e circa 60 appuntamenti. Il titolo del loro incontro è “Psichiatria e umanità di Franco Basaglia”. Tra gli altri ospiti della rassegna, Jean-François Bert, Piero Boitani, Patrick McGrath, Vittorio Sgarbi; per informazioni, www.estoriafestival.it.

Per molti anni ci siamo interessati a Franco Basaglia e lo abbiamo tenuto in grande considerazione, John Foot come storico (e autore di un libro sul movimento basagliano pubblicato in italiano e in inglese: La repubblica dei matti, Feltrinelli, 2014) e Tom Burns come psichiatra sociale e di comunità. Eravamo interessati alle implicazioni più ampie del suo lavoro e abbiamo scoperto che era stato scritto relativamente poco su di lui, soprattutto per quanto riguardava il suo impatto fuori dall’Italia. Volevamo arricchire la letteratura con contributi giunti da diverse parti del mondo, ma anche da diverse discipline e prospettive (compresa quella degli scettici). Abbiamo così convocato un simposio di due giorni a Oxford nel settembre 2018 per celebrare i 40 anni della legge 180; ora pubblicato con il titolo From Asylum to Community: Basaglia’s International Legacy (Oxford University Press 2020). Basaglia fu veramente una figura globale, la cui influenza in alcune nazioni è stata enorme, anche se l’interpretazione di quello che venne denominato «esperimento Basaglia» è stata spesso disomogenea e talvolta utopica. Inoltre, a volte c’è stata confusione tra il movimento per l’apertura dei manicomi e la loro chiusura così come è stata caratterizzata dalla legge del 1978. Per di più, concentrarsi su Basaglia ha indotto a sottovalutare sia il ruolo di altre città e persone in Italia, sia le divisioni all’interno del mondo italiano della psichiatria e del movimento stesso. Infine, l’influenza di quest’ultimo movimento è stata maggiormente sentita nei Paesi che sperimentavano un regime dittatoriale (Brasile, Argentina, Spagna, Grecia), a sottolineare le radici politiche e antifasciste delle riforme italiane. Tuttavia, nonostante la stima e l’enorme influenza di cui godeva in alcuni Paesi mediterranei e in Sudamerica, Basaglia ricevette un’accoglienza generalmente gelida nel Regno Unito, negli Stati Uniti e in gran parte del Nord Europa. Le reazioni in Germania e nel Regno Unito sono particolarmente ben documentate. Il tono del rifiuto tedesco fu, semmai, ancora più deciso, ma la risposta del Regno Unito provocò un senso di amarezza che persistette in Italia per decenni. Sembra che tale scetticismo fosse dovuto a tre ragioni. La più importante era che le affermazioni fatte per le sue riforme erano ritenute esagerate. Gli psichiatri britannici erano altresì convinti che i loro servizi di salute mentale (in particolare l’attenzione alla cura e alla riabilitazione in comunità) fossero più avanzati. Infine, c’era una generale sfiducia nel linguaggio ideologico e politico di Basaglia. Il rifiuto di Basaglia da parte della psichiatria britannica è contenuto in due articoli del “British Journal of Psychiatry” di Kathleen Jones e Alison Poletti. La Jones riteneva che le affermazioni italiane fossero troppo ottimistiche per essere vere. Nel 1984 le due specialiste visitarono i servizi in tutto il Paese per riferire come veniva applicata la legge 180. La critica principale riguardava i rapporti sui molti pazienti cronici che erano stati semplicemente riqualificati come ospiti, rimasti con poche cure in reparti degradati. Diverse sezioni erano state semplicemente riprogettate come comunità terapeutiche residenziali. I pazienti psicogeriatrici, ridenominati 'geriatrici', non facevano più parte dei degenti, pur rimanendo in loco in strutture trascurate e spesso chiuse al pubblico. Dall’Italia arrivarono ondate di indignazione, perché la Jones e la Poletti furono accusate di aver mosso critiche infondate e di non aver visitato i centri di eccellenza. Un secondo viaggio nel 1985 le portò a Trieste, Roma e Ferrara, e gli esiti furono pubblicati nel 1986. Il secondo documento fu più cauto, sebbene le due specialiste esprimessero ancora incredulità nel sentirsi ripetere che le istituzioni che stavano visitando erano 'chiuse', quando tutte avevano diverse centinaia di residenti, spesso in reparti isolati (anche a Trieste). Gli articoli successivi, spesso più rassicuranti, non riuscirono a ribaltare lo scetticismo che ne derivava. Prima della Seconda guerra mondiale, la Germania era sostanzialmente l’unico Paese con una psichiatria accademica degna di nota. Nel 1975 venne pubblicato un approfondito e duro riesame dei suoi servizi psichiatrici, dopo quattro anni di considerazioni dettagliate che includevano i cambiamenti raccomandati nell’assistenza. Il Regno Unito del dopoguerra era orgoglioso della sua psichiatria sociale e comunitaria, e dei suoi servizi di riabilitazione. Basaglia fu, giustamente, feroce nella sua critica dei decenni di abbandono che si trovò ad affrontare nella psichiatria italiana. Di conseguenza, i contrasti sono impressionanti. Gorizia e Trieste aprirono i loro reparti, rispettivamente negli anni Sessanta e Settanta, mentre il Dingleton Hospital in Scozia (che Basaglia aveva visitato nel 1963 per studiarne la comunità terapeutica, e in cui Tom Burns lavorò nel 1972) aveva riaperto la sua ultima porta chiusa nel 1948. In Inghilterra, i sistemi di contenzione fisica erano stati abbandonati verso il 1845. Nel 1972 Dingleton aveva solo 11 letti di degenza per casi acuti, aveva reinsediato più della metà dei suoi pazienti ricoverati e forniva abitualmente assistenza e valutazione a domicilio. Un decennio o più di psichiatria riabilitativa mirata a reinserire i pazienti (in base all’intenzione dichiarata dal governo nel 1961 di chiudere tutti gli ospedali psichiatrici) aveva dimostrato agli psichiatri quanto fosse difficile questo processo. Il messaggio ottimistico di Basaglia, pertanto, appariva eccessivamente semplicistico e poco riflessivo, e le implicazioni di superiorità erano chiaramente irritanti. Il prestigio e la sicurezza dei riformatori italiani, inoltre, generavano invidia nelle loro più modeste e caute controparti britanniche. Alcune resistenze erano dovute anche al tradizionale pragmatismo britannico, una mentalità evidente nell’assenza nel Regno Unito di una costituzione scritta, nella pratica della common law e nelle sue scuole di filosofia analitica. Basaglia era semplicemente visto come 'troppo guidato dalla teoria'. La sua insistenza sul fatto che la diagnosi e la reclusione avevano una motivazione politica piuttosto che terapeutica irritava anche gli psichiatri britannici più liberali. I risultati di questo rifiuto da parte della psichiatria anglofona sono stati eterogenei. Un aspetto positivo è stata la continua enfasi sul pragmatismo, alla base di una vibrante cultura della ricerca sulla salute mentale. Ma spiccano difetti innegabili. Mancano il senso di fiducia e il morale alto del personale, evidenti in gran parte della pratica basagliana. La psichiatria britannica ha lottato per apparire razionale e convincente, collegata ma distinta dalla medicina generale. Ciò si è tradotto in una scarsa immagine pubblica e in problemi cronici di reclutamento. La psichiatria britannica ha fallito altresì nel costruire la fiducia e l’impegno con la società e gli utenti dei servizi, così evidente nella psichiatria basagliana. L’obiettivo di Basaglia di cambiare la società tanto quanto la psichiatria si manifesta nell’impegno rivolto all’esterno dei suoi seguaci. Il messaggio radicale e politico, ma fondamentalmente ottimista, di Basaglia ha continuato a coinvolgere artisti e intellettuali. Franco Basaglia occupa un posto speciale nel movimento internazionale di deistituzionalizzazione. Egli si propose di abolire l’ospedale psichiatrico, non di riformarlo. Il confronto tra il suo fervore visionario e un approccio britannico più pragmatico può fornire lezioni su tutti i fronti. Possiamo sperare che un’analisi meno faziosa e più riflessiva di quello scontro fornisca nuove prospettive e in generale migliori la pratica.

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