mercoledì 20 aprile 2022
Il racconto dell’ex segretario Udc: «Rispondeva a tutte le lettere. Lo faceva a modo suo, mettendoci del tempo Ma poi arrivava il momento di uno sguardo, e non era mai distratto e impersonale»
Aldo Moro

Aldo Moro - archivio

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Ma di quante ore era composta la giornata di Aldo Moro? Dell’uomo delle istituzioni sappiamo, dell’impegno senza risparmio di tempi e liturgie, testimonianze recenti hanno portato alla luce il tempo dedicato, in università, alle lezioni e ai suoi allievi, ad uno ad uno. Le lettere dalla "prigione del popolo" ci hanno restituito lo struggente ricordo di famiglia destinato alla figlia Agnese dell’amorevole gesto compiuto, lei piccolina, «dosando goccia goccia con il cucchiaino il latte che non potevi succhiare». Ora scopriamo che anche nel suo studio la sua vita e i suoi incontri erano alieni da due parole che detestava, la «fretta» e la «casualità». In questo viaggio dietro le quinte della vita dello statista ci aiuta Marco Follini con Via Savoia. Il labirinto di Aldo Moro (La nave di Teseo, pagine 224, euro 16,00), prefazione di Marco Damilano. 'Via Savoia' è la ubicazione dello studio di Moro, al quartiere Salario, che già dice tanto: centrale ma un po’ defilata rispetto ai Palazzi del potere, «più un rifugio che una corte», non lontana, ma dove dovevi comunque andarci, non per caso, un luogo pensato più per la riflessione e i colloqui, che per le strette di mano e le pacche sulle spalle. Per capire la politica più che per carpire voti. Per ascoltare, più che per declamare parole d’ordine al cospetto di collaboratori e questuanti. Come per apprezzare un quadro, operazione che richiede una modica distanza dalla tela per risultare efficace. Nel racconto leggero della politica dell’ex segretario dell’Udc c’è anche molta autobiografia, essendo stato segnato sin da ragazzo dall’incontro con Moro, a un congresso, ed avendo sperimentato di persona quelle ritualità, quegli apparenti formalismi che rimandavano a un’idea alta della politica, un misto di senso di responsabilità, e «vertigine» per il potere che consigliavano in chi più ne era consapevole riflessione e prudenza. Non è la politica alla quale ci siamo abituati, che vive di 'presentismo' - tutta giocata sul presente, sulla battuta e sul consenso facile - e di 'presenzialismo', fra culto della persona ed esibizione di sé. «Detestava la fretta. Diffidava di chiunque celebrasse la rapidità, la prontezza dei riflessi, la disinvoltura». Gli incontri con lui non erano facili da ottenere, in compenso una volta ottenuti erano segnati da una disponibilità di tempo e all’ascolto impensabili per un politico a quel livello. «Rispondeva a tutte le lettere, le cartoline, i biglietti di auguri che riceveva. Lo faceva a modo suo, mettendoci del tempo. Magari quelle carte restavano a prender polvere sulla sua scrivania per un paio di mesi e anche più. Ma poi arrivava il momento di uno sguardo, e non era mai uno sguardo distratto e impersonale. Semmai tardivo, questo sì. Come se il tempo, intanto, vi avesse conferito un valore maggiore». Ne fece esperimento lo stesso autore che per il Natale del 1977, per Moro sarebbe stato l’ultimo, gli scrisse un biglietto, e ne ricevette risposta il 5 febbraio dell’anno successivo. Ritmi lenti, ma non immutabili. Protagonista della stagione del centrosinistra (1963-1968) proprio a ridosso della Contestazione Moro conobbe negli alti e bassi della politica una fase di doloroso accantonamento, che lui però valorizzò a modo suo. Per capire. «In quei giorni l’ufficio di via Savoia registrò l’arrivo di nuovi ospiti e ascoltò discorsi mai sentiti prima». Al cospetto di un partito con il quale erano sorte incomprensioni dovette apparirgli naturale cogliere l’incomprensione di un’intera classe dirigente per quel conflitto generazionale. «Così a poco a poco gli venne di pensare che il suo tempo avrebbe dovuto distribuirlo diversamente. Riempendolo meno di riti da celebrare nella cittadella di partito e di molti più incontri da andare a cercare fuori dalle sue mura». D’altronde, da educatore, «gli era sempre piaciuto tendere l’orecchio verso i rumori che provenivano dalla foresta giovanile», e ora «l’inquietudine delle nuove generazioni sembrava annunciare l’avvento di un mondo nuovo». Chi conosce la biografia di Moro sa che questa sua politica 'pensata', a giudicare dagli esiti (sempre incisivi, tendenzialente duraturi) tutto fu meno che teorica o astratta: in ogni passaggio che recava la sua firma «si poteva quasi ascoltare il respiro della storia. Lui cercava il modo di realizzare i sogni più arditi, di dare vita alle soluzioni più avanzate affidandosi però alle tecniche più prudenti e sperimentate. Era la sua cifra, e sarebbe stato il suo lascito politico».

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