venerdì 17 marzo 2017
Italia, anni '60: 200mila bambini finiti in manicomio. Alberto Gaino ricostruisce le storie dei giovanissimi rinchiusi, anche a soli 2 anni, nelle strutture di cura mentale prima della legge Basaglia.
Nel libro “Il manicomio dei bambini” le cartelle cliniche, i documenti d’archivio e le testimonianze di tante infanzie violate L’autore: «Il sostegno alle famiglie è sempre la via migliore. Il problema oggi è il numero crescente di minori stranieri che vanno in comunità: se i “caratteriali” erano i “diversi” del Novecento, ora lo sono i minori stranieri soli che arrivano da noi dopo estenuanti vie crucis che li hanno riempiti di cicatrici da curare». Nelle foto di Berengo Gardin (Manicomi) Gorizia prima dell’intervento di Basaglia, 1968-1970 ©Gianni Berengo Gardin/Contrasto

Nel libro “Il manicomio dei bambini” le cartelle cliniche, i documenti d’archivio e le testimonianze di tante infanzie violate L’autore: «Il sostegno alle famiglie è sempre la via migliore. Il problema oggi è il numero crescente di minori stranieri che vanno in comunità: se i “caratteriali” erano i “diversi” del Novecento, ora lo sono i minori stranieri soli che arrivano da noi dopo estenuanti vie crucis che li hanno riempiti di cicatrici da curare». Nelle foto di Berengo Gardin (Manicomi) Gorizia prima dell’intervento di Basaglia, 1968-1970 ©Gianni Berengo Gardin/Contrasto

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I lager sembrano realtà lontane anni luce dal nostro Paese, così come le torture perpetrate ai danni di prigionieri politici e desaparecidos. Perché abbiamo la memoria corta e dimentichiamo cosa succedeva neppure cinquant’anni fa negli ospedali psichiatrici italiani, addirittura nei reparti in cui erano ricoverati minorenni dall’età di tre anni: parliamo di circa duecentomila bambini solo negli anni Sessanta. Nei padiglioni a loro riservati subivano elettroshock ai genitali se facevano la pipì a letto, erano legati per ore e giorni interi alle loro brande, seviziati e abusati sessualmente. Con l’unica colpa di essere “caratteriali”, in qualche caso disabili, sempre e comunque poveri. Una galleria degli orrori troppo rapidamente archiviata, che Alberto Gaino riporta alla luce nel volume Il manicomio dei bambini. Storie di istituzionalizzazione, appena pubblicato dalle Edizioni Gruppo Abele (pagine 224, euro 15,00). Esperto di cronaca giudiziaria, l’autore ha ricostruito le storie di alcuni giovanissimi internati grazie alle cartelle cliniche e ai documenti d’archivio recuperati negli istituti di cura mentale come “Villa Azzurra” nella provincia di Torino, che di colorato aveva solo le pareti.


Luoghi di istituzionalizzazione oggi chiusi grazie alla legge Basaglia del 1978, anche se la tentazione di creare ghetti e discariche umane è sempre dietro l’angolo quando si parla di persone problematiche, adolescenti a rischio, disabili mentali. E comunque restano testimoni di quel passato orribile Angelo e altri sopravvis- suti, con vite devastate per sempre e marchiate a fuoco: ogni minorenne rinchiuso in manicomio era registrato obbligatoriamente al casellario giudiziario (fino al 1968) come «pericoloso a sé e agli altri», quindi «la sua fedina penale era macchiata e non avrebbe mai potuto partecipare a un concorso pubblico. Magari, invece, era finito lì dentro solo perché aveva problemi a scuola o una famiglia troppo numerosa che non riusciva a prendersene cura. L’ospedale psichiatrico è stato nei suoi centocinquant’anni di vita un’immensa discarica umana in cui sono state rovesciate, come rifiuti organici, generazioni di uomini e donne, e bambini, tutti vulnerabili».

Cosa l’ha spinta a scrivere questo libro?

«Ci avevo già provato a metà degli anni Ottanta, quando mi era stato concesso l’accesso all’archivio di Villa Azzurra. I bambini sono i più vulnerabili e mi colpì molto, dopo essere andato ad ascoltare un paio di assemblee nel teatrino dell’ospedale psichiatrico di Collegno, dove aveva sede il principale manicomio fra i quattro torinesi, scoprire che la stessa Associazione di lotta contro la malattia mentale (le persone in assoluto più attente in quel periodo) si occupò per ultimi dei bambini di Villa Azzurra. La stessa letteratura sui manicomi per adulti è ricca di saggi, memoriali, storie di ogni tipo. Ma rispetto ai bambini c’è molto poco».

Per raccogliere le storie ti sei basato sui fascicoli ancora conservati a Villa Azzurra?

«Sì. Alcuni, come Saverio e Libero, li avevo conosciuti alle loro dimissioni dall’ospedale psichiatrico fra il 1986 e l’87, ben oltre il varo della Legge Basaglia: furono tra gli ultimi a uscire dal manicomio. Le loro storie sono le più dure e paradigmatiche del tentativo di annientare le esistenze là dentro. La testimonianza dello psicologo che arrivò a Villa Azzurra nel 1970 (scelto perché aveva lavorato in carcere) è terribile rispetto a Libero: “Lo vidi che lo lavavano con il getto di una pompa e uno spazzolone da casa”. Libero entrò per la prima volta in manicomio che aveva due anni e mezzo circa».

I responsabili delle violenze nei confronti dei bambini hanno pagato il loro debito alla giustizia per i gravi reati commessi?

«Il dottor Coda, un sadico, in quel periodo era tutto: giudice onorario del Tribunale per i minori, consulente del Provveditorato agli Studi per le classi differenziali (uno dei canali per cui si entrava in ospedale psichiatrico), persino responsabile del centro della Provincia che inviava i bambini in manicomio. E nei volumi pubblicati da una nota casa editrice scientifica teorizzava il ricorso all’elettroshock a uso educativo; ottenne in questo modo la libera docenza. Fu processato e condannato per la sua successiva gestione di un reparto per adulti; ha poi esercitato la professione di medico di famiglia. Quanto agli infermieri, avevano tutti la quinta elementare e definivano “arnesi” i bambini ».

Come mai sulla storia e la realtà dei manicomi dei bambini è sceso l’oblio?

«Perché è stata una delle più grandi vergogne d’Italia».

Pensa che oggi lo stigma nei confronti del “diverso” (il più debole, non necessariamente disabile fisico o psichico) sia ancora presente?

«La paura del diverso si riversa su chi si incontra per strada, non su chi certe famiglie nascondono in casa. E semmai riguarda oggi gli stranieri, molto più visibili, come diversi. Il mio viaggio in questo libro va dalla Villa Azzurra della Torino del secondo Novecento alla Reggio Calabria di oggi, dove è stato aperto uno dei centri più grandi di prima accoglienza per minori stranieri soli: i bambini di Villa Azzurra erano gli ultimi della fila sociale, i minori stranieri soli sono gli ultimi di oggi e fra di loro tanti arrivano da noi dopo estenuanti vie crucis che li hanno riempiti di cicatrici da curare».

Il disagio dei bambini di oggi rischia di essere “contenuto” in altri modi meno violenti ma ugualmente dannosi?

«Con il manicomio chimico, ma tutti gli specialisti sostengono che il ricorso ai farmaci in Italia è molto contenuto. In Piemonte l’attento procuratore della Repubblica per i minori ha effettuato numerose segnalazioni di legge alle Asl per aver trovato in comunità, nelle sue ispezioni a sorpresa, minori ripetutamente sedati».

Crede che le case famiglia gestite da operatori siano inadeguate per gestire questo disagio?

«Dipende dagli operatori. Il sostegno alle famiglie, con un educatore che si affianchi loro, è sempre la via migliore se le famiglie esistono e sono all’altezza. Il problema oggi è il numero crescente di minori stranieri che finiscono in comunità». Nel libro “Il manicomio dei bambini” le cartelle cliniche, i documenti d’archivio e le testimonianze di tante infanzie violate L’autore: «Il sostegno alle famiglie è sempre la via migliore. Il problema oggi è il numero crescente di minori stranieri che vanno in comunità: se i “caratteriali” erano i “diversi” del Novecento, ora lo sono i minori stranieri soli che arrivano da noi dopo estenuanti vie crucis che li hanno riempiti di cicatrici da curare».

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