martedì 17 ottobre 2023
Tradotto il quaderno al quale il sacerdote, filosofo e matematico russo, martire del comunismo, affidò le sue “esperienze di soglia”. Tra sogno e spiritualità
Pavel Florenskij con la moglie e il figlio

Pavel Florenskij con la moglie e il figlio - archivio

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Immaginato da Pavel Aleksandrovic Florenskij come un quaderno dove trascrivere i propri sogni, ha poi accolto, accanto a note propriamente oniriche, riflessioni spirituali circa alcune sue “esperienze di soglia”. Parliamo del volumetto Al confine dei mondi (a cura di Lucio Coco, Aragno, pagine 93, euro 15,00), consapevoli che se l’autore – genio fra scienza e fede, martire del regime sovietico – non ha bisogno di presentazioni, resta più difficile spiegare un po’ quali siano le esperienze appena citate. In sintesi, si potrebbero definire quei momenti in cui, come accade dalla veglia al sonno, le cose reali si rifrangono nello specchio della nostra psiche, transitando da una sorta di mondo eterico ad un mondo astrale, dove la differenza sta nell’obiettività del primo e nella soggettività del secondo.

Come osserva il curatore – studioso di spiritualità e letteratura russa nonché dei Padri della Chiesa – qui Florenskij annota coincidenze e casualità che lo spingono a riflettere, mentre avverte di «trovarsi in strati intermedi della realtà dove ciò che è visibile deve lasciare il posto a un invisibile del quale questi casi, che egli si limita solo a registrare, sono una prova». «Come l’icona fa da cerniera tra due dimensioni, quella materiale e visibile e quella immateriale e invisibile – scrive Coco – le fatalità, ma non solo, anche le percezioni subliminali, le interazioni psichiche, sono luoghi di transito, zone di passaggio e di scambio non da reale a irreale, ma da uno spazio reale a uno spazio immaginario».

Tradotto per la prima volta dal russo e corredato da un “decalogo dello scrittore”, tratto dal taccuino di Florenskij del 1904-1905, il periodo in cui si laureò in matematica a Mosca, subito iniziando a studiare presso l’Accademia teologica di Sergiev Posad (dove sarà ordinato sacerdote nel 1911 avendo nel frattempo sposato Anna Michajlovna Giacintova), Al confine dei mondi attinge ampiamente a questo “perimetro di frontiera” presentando brevi testi ispirati. Scritti sbalzati da una Weltanschaung cristiana-​ortodossa, ma dove talora le contraddizioni possono sgretolarsi, episodi liminali generano apologhi morali, la ricerca dei fondamenti del visibile nell’invisibile è costante.

Tutto questo, fra rimandi al contempo matematici e religiosi: «Il cuore si attacca a un miracolo lontano con più forza che alla realtà vicina: “Signore, fai che due più due non dia quattro!”», annota Florenskij il 7 luglio 1909 mentre si trova nella città georgiana di Mtskheta. Fra spiegazioni fulminanti che riempiono di significato profondo fatti e dettagli incomprensibili (si vedano in questa pagina i brani “Incredulità” e “L’ape-anima”). Fra paradossi apparenti dal valore pedagogico come nella riflessione, riportata sempre in questa pagina, titolata “Alto e basso”, scritta dal pensatore russo il 27 giugno 1909 in un viaggio da Apapur – 60 chilometri da Tbilisi – a Dušeti, ai piedi del Gran Caucaso.

E tutto questo fra pagine che riconoscono la presenza di una forza di gravità spirituale insieme a quella fisica, «Cado e... resto nel posto. Vi è qualcosa di così incrollabile nell’anima che non può volgersi in basso; o, meglio, tu vieni precipitato giù, ma essa mediante un qualche invisibile percorso ti riporta nel vecchio posto. Assumi una posizione orizzontale, ma ti ritrovi come prima in verticale. Cosa oppure chi è che regge?» (sempre il 7 luglio 1909). E fra pagine che lasciano spazio alla duplicazione dell’Io quando l’Io cosciente, dello stato di veglia, si sdoppia cedendo il passo a quello del sogno, rendendo permeabile il soggetto ad altre esperienze che possono sfociare in premonizioni, illuminazioni, presagi.

Insomma: «Sprazzi di verità che nulla hanno a che vedere con il vero adottato come principio giurisdizionale della corrispondenza tra cosa e la sua rappresentazione concettuale», spiega il curatore Coco. Richiamando prima la formula filosofica adaequatio rei et intellectus (appunto, “corrispondenza tra realtà ed intelletto”), poi la differenza fra i due vocaboli russi usati per indicare la “verità” – istina e pravda (istina la Verità ontologica che diviene anche gnoseologica, superiore alla verità-pravda basata invece sul principio di adeguazione tra il fatto e la sua rappresentazione) – riconosce infine che ognuno dei frammenti florenskijani qui raccolti è una scintilla di verità «procurata dallo scontro con quell’assoluto che sta alla porta e che occorre necessariamente ascoltare per arrivare a capire meglio».

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