venerdì 20 maggio 2011
La squadra dell’allievo di Mourinho, il giovane “mago” Villas Boas ha vinto l’euroderby con il Braga e conquistato il terzo titolo stagionale. Una società modello, piena di talenti che negli ultimi 9 anni tra cessioni e acquisti ha un saldo in attivo di 220 milioni di euro. Il tecnico gela tutti: «Mi vuole mezza Europa, ma io voglio restare qui almeno altri dieci anni».
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André Villas-Boas, l’uomo del momento. Un po’ Mourinho, un po’ no. Campione in patria, trionfatore in Europa League dopo la finale-derby vinta con il Braga (1-0). C’è molto di lui, ma pure altro. Il Porto, la sua creatura che non vuole lasciare: «Mi vuore mezza Europa, ma io voglio restare qui altri 10 anni», dice Villas Boas. Dietro di lui c’è il resto. Calciatori di qualità, ancorchè spesso poco conosciuti alle grandi platee. Una società esemplare, che pratica una politica vincente. Magari non abbastanza per andare a braccetto con l’aristocrazia pallonara, perché da quelle parti i diritti tv non sono un pozzo senza fondo, da cui estrarre quattrini come altrove il petrolio. Ma quanto basta per creare una macchina perfetta, in grado di macinare bel calcio, record, successi. L’ultima stagione, qualcosa di unico, a ogni livello: 48 vittorie in 56 partite, 138 gol realizzati, seconda squadra portoghese della storia a vincere il titolo nazionale senza perdere una partita, con la più lunga serie positiva di sempre e il più ampio margine di vantaggio sulla seconda della storia in un campionato a 16 squadre.Tanti record, uno dietro l’altro. Compreso quello in campo europeo, tanto per mettere un ulteriore sigillo al trionfo in Europa League: il risultato più ampio in una doppia sfida di quarti di finale di Europa League (10-3 ai russi dello Spartak Mosca). Numeri da paura, testimoni oggettivi di un’incredibile cavalcata, lunga una stagione intera. Villas-Boas, lo stratega del momento, ha guidato il Porto dei miracoli con mano sapiente, altri l’hanno costruito, anno dopo anno. Calcio spettacolo, a costo limitato. Giocatori scovati in ogni angolo del pianeta, lanciati ad alto livello, poi ceduti al miglior offerente, guadagnandoci su un mare di soldi. Classica politica da provinciale, peraltro forzata.Perché i ricavi son limitati, rispetto a quelli dei club che vanno per la maggiore in Europa. Al club dei ricchi, il Porto non è ammesso, resta fuori dalla porta. L’ultima classifica parla chiaro: non c’è tra le 20 società europee che fanno segnare i maggiori ricavi, in una classifica in cui appaiono 7 inglesi, 4 italiane, altrettante tedesche, 3 spagnole e 2 francesi. Il Portogallo è lontano, deve fare di necessità virtù. Come dopo il trionfo in Champions League del 2004: dopo neppure un anno, erano andati via Mourinho, l’architetto del successo, e ben 8 titolari della squadra campione d’Europa. Il mercato, la miglior fonte di guadagno. Sempre in attivo, sempre proficuo. Cedendo ai club ricchi, comprando in sperduti angoli del pianeta. Negli ultimi 9 anni, saldo positivo tra cessioni e acquisti superiore ai 220 milioni di euro. Una montagna di soldi, senza perdere competitività. Ultime quattro edizioni del calciomercato, ricche cessioni inserie: Bruno Alves, Raul Meireles, Lucho Gonzalez, Lisandro Lopez, Cissokho, Quaresma, Bosingwa, Pepe, Anderson. Quando Quaresma finì all’Inter, il Porto acquistò il brasiliano Hulk (che giocava in Giappone): 21 milioni in arrivo, appena 8 in uscita, peraltro ben spesi se Hulk in questo quadriennio è stato il miglior bomber del Porto. Lui e Radamel Falcao il colombiano: due bocche da fuoco. Hulk costò 8 milioni, Falcao 5 e mezzo: quest’anno hanno realizzato 68 gol in due. Ora il primo ha un valore di mercato di circa 25 milioni, il secondo una clausola rescissoria di 30 milioni. Una politica da provinciale. Soprattutto, una politica vincente. E un esempio per tanti.
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