venerdì 5 dicembre 2008
Gli scenari etici paradossali ma inquietanti del triestino Svevo e dello svedese Wijkmark sulla fine della vita, analizzati da Magris.
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In un racconto di Svevo potrebbero essere gli anziani ad annunciare, con minacciosa e cinica buona educazione, quelle mosse imprevedibili in cui i vecchi eludono l'«orrida vita vera», la ferocia dell'esistenza e della società, e scompigliano il crudele e convenzionale gioco dei giovani. Ma il vecchio di Svevo non è una vittima indifesa, bensì un anarchico guerrigliero del vivere, maestro nel trasformare la propria debolezza in un'efficace arma di difesa e nel tenere a bada la Medusa. «La vita di un vecchio " dice lo scrittore triestino " è veramente selvaggia». Wijkmark è maestro nello smascherare la degenerazione totalitaria del sistema democratico, di una democrazia in cui i metodi di persuasione soft inducono i cittadini a volere " a credere di volere " ciò che il potere vuole che essi vogliano. La formula del Fater (il comitato «Fase Terminale della vita umana» descritto da Wijkmark) per la soppressione dei vecchi è infatti quella dell'«obbligo volontario». La morte moderna è particolarmente graffiante quando mostra la contraddizione di questa democrazia totalizzante, come l'igienistica cura del corpo e lo sport o le accurate prevenzioni sanitarie, indiscussi valori sociali che tuttavia generano pensionati in gran forma e dunque più restii a convincersi di voler lasciare la vita. Inoltre, la democrazia agisce sempre in nome di buoni sentimenti: se rifiuta le vaccinazioni ai bambini down, destinandoli a una pressoché (pressoché: vale a dire comunque senza assunzione di responsabilità personale, tipico connotato delle contemporanee società democratiche di masse eterodirette) sicura morte, ciò è un «atto di misericordia anche verso i genitori, in modo da evitare l'insorgere di quell'amore parentale isterico e gravato di senso di colpa che è ancora comune in questi casi». La dipartita dell'anziano convinto ad andarsene è programmata come una festa in suo onore e una sconfitta della solitudine della vecchiaia " ritratto ferocemente parodistico e veritiero di quella festosa eutanasia involontariamente caricaturale che conclude ad esempio il trionfalistico e zuccheroso film Le invasioni barbariche di Denys Arcand, kitsch spacciato per liberazione che potrebbe essere un'orrida e ipocrita iniziativa del Fater. È meglio prolungare di un mese la vita penosa del proprio nonno oppure aiutare con quei soldi bambini del Terzo Mondo a vivere?, ci si chiede nella Morte moderna con compunti buoni sentimenti. Wijkmark satireggia spietatamente la falsa pietà di quelle anime sensibili della società contemporanea che, diceva Bernanos, uccidono una bestiola perché non sopportano di vederla soffrire. La Morte moderna trascende infatti il tema della vecchiaia improduttiva e inutile in un tema più ampio e più atrocemente contemporaneo, il pervertimento dell'ideologia della qualità della vita. In nome di quest'ultima, considerata condizione essenziale per vivere, anziché cercare di darla a chi ne è privo, si sopprime quest'ultimo, eliminando così insieme il dolore e chi lo prova, e arrogandosi naturalmente il diritto di decidere quale sia il livello di qualità della vita al di sotto del quale essa non è degna di essere vissuta e chi vi si trova non è degno di vivere. È la democrazia, la volontà generale a decidere tale livello di qualità di vita, frontiera tra la vita e la morte, in una società in cui «il rispetto della vita umana è considerato un vecchio tabù», dannoso perché ancora deplorevolmente tenace. Geniale poeta dell'inettitudine, vista quale autentica dimensione esistenziale, Svevo la trasforma in rimedio di se stessa; se l'individuo è di per sé sempre un inetto " condannato a soffrire la propria sconfitta e la propria inadeguatezza nella battaglia del produrre, del realizzare, dell'essere felice " il vecchio (estromesso dal conflitto del lavoro, dell'amore, dell'imperativo del successo) è autorizzato alla propria inettitudine, è libero dall'obbligo di vincere e di affermarsi e dunque dal dolore di perdere, dalla vergogna dell'insuccesso (sociale, economico, culturale, sentimentale, sessuale). Escluso dal gioco, guarda gli altri giocare la partita, comprendendo meglio di essi, proprio perché non vi partecipa, le loro mosse e la loro strategia e godendosi la vita e la lotta come uno spettatore. Se il vecchio sveviano è l'unico autentico individuo, i vecchi di cui parla Wijkmark, in questo possente grido di denuncia, sono un coro muto e assente, che non si vede e non si sente, cui è tolta la parola e di cui sono gli altri a parlare, dirigenti di dipartimento del Ministero degli Affari Sociali o di Istituti di Bioetica, intellettuali e teologi sempre presenti ai dibattiti sulle cose ultime elargite in pillole analgesiche. La «morte moderna» messa in scena da Wijkmark è, in primo luogo, quella " sempre più auspicata e impellente, ancorché sempre in nome di nobili ideali sociali e secondo le regole della democrazia " dei sempre più numerosi vecchi: socialmente inutili e mantenuti a spese di chi produce, in una proporzione numerica economicamente sempre più insostenibile, causa il prolungamento dell'età media e i progressi della medicina, che rinviano sempre più la morte e affollano il mondo di centenari superflui e costosi, posati a grappolo sui pochi che lavorano e vengono da essi soffocati e dissanguati come da vampiri o da parassiti. «I bambini di cui ci privano gli aborti, ce li ritroviamo moltiplicati per tre in forma di anziani improduttivi al vertice della piramide» dice il Moderatore. La deduzione che ne trae il Moderatore è semplice e logicamente cogente: «Avremo presto bisogno di più morti. Ma come fare?».
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