domenica 2 luglio 2023
Rinnovare il linguaggio e ripensare i temi. Dobbiamo guardare alle domande dei lettori per fornire strumenti all’attualità
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- - Przemek Klos

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Ogni epoca ha una sua fisionomia. Ed è sempre con l’epoca in cui vivono e operano che gli editori devono confrontarsi, al di là dei loro grandi propositi ideali e/o ideologici. Questo vale in generale, moltissimo per un’editoria che all’origine o in toto è e vuole essere religiosa. Ma c’è un’altra prospettiva da cui osservare la questione. Infatti, un editore oltre che confrontarsi con una specifica epoca storica, deve anche fare i conti con i suoi lettori, quali che siano. Se questi pongono specifiche domande, compito dell’editore è aiutare a dare risposte. Non risposte a domande che nessuno fa, dunque, ma a quelle specifiche questioni che i lettori sollevano. Aggiungo un ultimo punto. Comunque la si voglia mettere, quei lettori che fanno specifiche domande sono anche sufficientemente rappresentativi (diciamo perlopiù) dell’epoca in cui agiscono. E così torniamo in qualche modo alla considerazione che si faceva all’inizio. Possiamo allora constatare una sofferenza dell’editoria religiosa, indagarne i numeri (qualche o tanti punti percentuali in più o in meno rispetto agli anni precedenti) e le cause. Diremo allora che le librerie religiose decrescono ogni anno; i librai sembrano meno competenti; gli autori, soprattutto gli opinion leader, perfino gli ecclesiastici, non pubblicano per le case editrici religiose ma per quelle laiche; che un libro sulla fede di Rizzoli, Garzanti o Piemme entra in tutte le librerie e, invece, un libro di un editore religioso (quale che sia) fa molta più fatica o non ci arriva proprio, magari solo perché l’editore è sedicente o ritenuto confessionale. E, diciamolo, gli editori religiosi sembrano concentrarsi tutti e sempre sulla stessa tipologia di prodotto. Tutto vero. E non sono solo io a dirlo, ma lo affermano altri e più eminenti colleghi, anche sulle pagine di questo giornale. Eppure, credo – e per mia buona sorte neanche in questo sono solo – che sia oggi fondamentale percorrere anche un’altra strada, incominciando per esempio a chiedersi quali siano le domande dei lettori di ispirazione religiosa che mostrano attenzione nei confronti del dibattito culturale in atto. O quante siano, tra laici e consacrati, le persone interessate a prendere in mano un libro e, soprattutto, che libro vogliano leggere. O quale livello culturale la Chiesa vuole che i suoi figli, consacrati e laici, raggiungano. E con quale scopo. E in quale modo. E come gli autori, gli editori e i lettori contribuiscano effettivamente a fare in modo che tra quanto si scrive o si legge e quanto si vive secondo i propri valori (non solo religiosi) ci sia continuità e coerenza. Credo insomma che in qualche modo l’editoria religiosa vada rifondata. Che sia necessario entrare nel dibattito culturale in atto con competenza e in risposta alle domande che si alzano da tante parti del mondo (sulla geopolitica, sull’economia, sull’ambiente, sulla salute, ecc.), a volte magari assumendo posizioni diverse (assolutamente coerenti con il proprio credo, anche se diverse), ripensando un linguaggio che talvolta rischia di essere eccessivamente autoreferenziale, prestando intanto attenzione ai più recenti studi sulla comunicazione e il linguaggio stesso. Che sia necessario per gli editori religiosi trovare il modo di collaborare in maniera efficace per inventare nuove strade, più che imitare quelle note, attraverso cui raggiungere i propri lettori. Credo soprattutto che nel mondo umano un’esperienza divenga realmente universale e incisiva quando si fa (continua a farsi) cultura. Questo dovrebbe aver chiaro il mondo religioso. E a questo – è importante capirlo lavorano gli editori… anche quando la loro prima e inevitabile preoccupazione è quella di sostenersi economicamente con i propri libri e le proprie riviste.

*direttore editoriale Città Nuova

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