mercoledì 11 maggio 2016
FANTASY Saghe e miti in un futuro senza sogni
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Fin dall’Ottocento e complice anche lo sviluppo dei generi, la narrativa distopica ha aperto a dubbi o critiche sulle «magnifiche sorti e progressive », i benefici del progresso tecnico e lo sviluppo delle società umane. Con opere di punta, magari scomode (la trasposizione Bbc del 1984 orwelliano presentata nel ’54 in Gran Bretagna suscitò addirittura proteste in Parlamento) o invece popolarissime, sia in forma di romanzi che poi su schermo: storie spesso provocatorie, con una critica all’esistente almeno potenzialmente vivace. Ma da qualche tempo, l’editoria popolare conosce un fenomeno nuovo: l’orizzonte distopico, terreno di eroi navigati e disillusi, vede una massiccia invasione di saghe per adolescenti (o come si dice oggi, ' YA, cioè Young Adult) dallo scintillante successo commerciale. È il caso della clamorosa trilogia The Hunger Games di Suzanne Collins (20082010, in Italia per Mondadori), con trasposizioni in quattro film; della tetralogia Divergent di Veronica Roth (2011-2015, in Italia De Agostini), tre film usciti e un altro a seguire; della trilogia Legend di Marie Lu (2011-2013, in Italia Piemme), in fase di adattamento per lo schermo; della Maze runner series di James Dashner (a partire da The maze runner, 2009, in Italia Il labirinto per Fanucci), due film usciti; della tetralogia The giver / Il donatoredi Lois Lowry (dal primo romanzo 1993, 1995 in Italia per Giunti e ora ovviamente ripescato in concorrenza alle altre epopee); della Delirium trilogy di Lauren Oliver (in realtà un complesso di romanzi e racconti 2011-14, in Italia per Piemme); di Matched di Allyson Braithwaite Condie (2010-2012): e potremmo continuare. Tutte saghe anglosassoni, che tra romanzi, film e altro indotto vantano ormai fatturati da capogiro. Il fenomeno insomma non è affatto marginale. Certo esistono differenze tra una saga e l’altra. A dispetto della parentela tra distopie e fantascienza (in particolare quella 'soft', centrata sulle scienze sociali) è molto dubbio che qui si possa parlare di vero revival della science fiction. Se in alcune di queste opere la componente fantascientifica è più forte ( Maze runner), altre puntano al poliziesco/fantapolitico (Legend) o decisamente al rosa ( Delirium, Matched). E marcata si avverte la disinvoltura del fantasy, talora corteggiato apertamente sia sul fronte dei personaggi (la protagonista di Hunger gamesarmata di arco e frecce, o le doti 'magiche' degli eroi di The giver) che di strutture mitiche sottostanti (le gesta di Teseo, richiamate in Hunger gamese Maze runner). Forte poi l’influenza (emblematico Hunger games) di videogame e giochi di ruolo.  Ovviamente i topoi della narrativa Yu ci sono un po’ tutti. In un mondo sempre più disincantato il tema dell’eroe - spesso un’eroina - recupera qui credibilità, con quel tanto di delirio di onnipotenza adolescenziale da rendere credibile il suo sacrificio finale ( Divergent, in qualche modo Hunger games). Il tema di morte e rinascita è del resto inteso soprattutto in senso iniziatico, con la differenza che il rito-gioco-test di passaggio non è individuale come per gli antichi eroi, ma guarda a una dimensione collettiva ( Divergent) e magari fortemente competitiva ( Hunger games, Maze runner, Legend). Del resto la struttura stessa di queste saghe, ampliando via via il panora- ma e le agnizioni di un eroe-eroina adolescente, implica un’adesione in progress dello stesso lettore coetaneo a un’esperienza 'iniziatica'.  Il tema del corpo, delle sue trasformazioni in età adolescenziale, e delle paure legate al suo rapporto con la società irrompe nelle costanti violazioni del medesimo da parte di virus epocali o sostanze tossiche, somministrate a fini di lavaggio del cervello ( Hunger games), eliminazione di passioni o memoria ( The giver, Delirium, Divergent, Legend) o persino per recuperarla ( Maze runner). Il terrore è perdere la propria identità ( The giver) nel rapporto con società dalla struttura archetipicamente rigida e funzionale (in Hunger games i Distretti, in Divergent le categorie sociali, in Matched gli abbinamenti coatti tra partner e la riduzione dell’'ingombro' della cultura a cento quadri, cento romanzi, cento canzoni…). L’eroe-eroina sfugge alle rigidità strutturali, ma sa che per disinnescarne le logiche occorre pagare un prezzo altissimo (emblematico Divergent). Troviamo poi (in The giver, per esempio) il topos del viaggio; troviamo quello di una caduta-espulsione dall’Eden, già implicita nel quadro post apocalittico e sancita nel momento della presa di coscienza dell’eroe che il mondo abitato non sia utopico, ma distopico, o sempre pronto a diventarlo. Con uno smarcamento generazionale che permette di dichiarare consumato il conflitto coi genitori (in queste storie di scarso rilievo) per eleggerne semmai di putativi nei saggi di turno. Nel punto d’incontro tra cospirazionismo 'di genere' e sfiducia d’epoca, il motivo della simulazione o della realtà nascosta emerge continuamente. Spesso alle spalle delle vicende si individua una verità allarmante di tipo scientifico (in Divergent un fallito tentativo di politica genetica, in Maze runner un esperimento di cura per l’epidemia abbattutasi sull’umanità, in Legend un morbo diffuso di nascosto): la scienza come patrimonio del potere, più minacciosa che salvifica. Se poi l’iniziazione ha molto a che vedere con la pubblica attenzione ( Legend) e magari con lo spettacolo e la fabbrica dei divi, tra ludi gladiatori e reality show( in Hunger gamesla nazione post Usa descritta si chiama 'Panem', dalla locuzione panem et circenses) questi romanzi tradiscono un paradosso interessante. Da un lato infatti mostrano un approccio scettico alle consacrazioni o criminalizzazioni mediatiche, e una coscienza relativamente sofisticata dell’uso delle comunicazioni ( Divergent, Legend, ma soprattutto Hunger games: la gestione dei giochi, il rapporto col pubblico e con la tv, lo sfruttamento mediatico dell’amore tra i vincitori, gli spot propagandistici…); fino anzi a un pragmatico scetticismo nel far cogliere le ambiguità dei ribelli schierati contro il potere cattivo ( Hunger games, Maze runner, Legend). D’altro canto, costruita l’impalcatura della radicale equivocità anche mediatica di un certo sistema, propongono poi nella sconfitta dei vilainuna redenzione un po’ facile o addirittura una conferma del sistema medesimo (in Legendl’eroina in carriera June scopre che il nuovo leader che i ribelli dovrebbero uccidere non è affatto cattivo come il padre, se ne innamora e alla fine farà emergere che i ribelli stessi sono manovrati dal losco senato, contrario alle idee rivoluzionarie del giovanotto). Ovvio, si tratta di schemi mitici in prodotti di consumo, la cui premiazione può tuttavia dirla lunga sul mix di scetticismo profondo e di ingenuo I want to believe di una generazione. Al netto di successi sentimentali più o meno romantici, le vittorie 'finali' contro il male in queste saghe sono di profilo relativamente basso, venate di dolore, e non sembrano aprire a futuri così entusiasmanti. La perdita del passato (consacrata dalla catastrofe epocale, di cui peraltro nessuno sembra dolersi troppo) sembra insomma accompagnarsi a quella di un futuro che ha i tratti vaghi dell’altrove del fantasy. La carica provocatoria del genere distopico ne risulta ovviamente depauperata. Il problema però non sta in queste saghe, che a ben vedere non ci parlano affatto di futuro in senso storico. Se un po’ tutte le distopie trattano, sotto sotto, soprattutto di presente, ciò è ancora più marcato in tali trascrizioni di riti di passaggio: il 'futuro' narrato è il diventare adulti oggi, in un presente di competizioni sempre meno umane, di crisi che 'giustifica' i peggiori trattamenti paludandoli con etichette d’efficienza, di mancanza diffusa di spinte per sognare davvero un futuro e anzi di categorie per dirlo. Quella che combatte gli Hunger games, i 'giochi della fame', è una generazione pragmatica e competitiva che bada a superare il test oggi, vive nel presente per incassarlo, ma ha sempre meno sogni.  E a questo punto il successo di simili saghe può anche rappresentare un’opportunità, una sfida. Nessun romanzo sostituisce il ruolo di chi è chiamato a formare i ragazzi: ma proprio la lingua franca di storie popolari può offrire occasione, se riusciamo a coglierla, per riparlare con loro di cose fondamentali. Per riaprire un discorso anche critico sul futuro, complice il linguaggio del mito, con coloro che il futuro saranno chiamati a vivere. La grande partita nell’oggi è il recupero (per loro, anche per noi) della categoria futuro. Quella dei 'giochi della fame' è una fame di futuro, in ogni senso possibile.
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