domenica 13 dicembre 2015
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 È tratto dall’ultimo numero della rivista «La nuova Europa» il testo inedito che qui proponiamo del filosofo russo Nikolaj Berdjaev (1874-1948), uscito nel 1937 su «Russkie zapiski» (si ringrazia la rivista per il consenso all’anticipazione e Sofia Fumagalli per la gentile concessione della traduzione). «La nuova Europa», bimestrale della Fondazione Russia Cristiana, dopo 55 anni cambia radicalmente veste a partire dal 2016. Nasce infatti il portale digitale www.lanuovaeuropa.org, uno strumento aggiornato su tutto ciò che è accaduto o accade in Russia e nell’Est europeo. Ma anche un portale che attinge al grande patrimonio della letteratura, dell’arte e del pensiero russo di tutti i tempi. Avrà blog, percorsi della memoria, videoteca, materiali per la didattica. Al portale digitale si aggiungeranno ogni anno due fascicoli cartacei dedicati ad approfondimenti. Per informazioni si può anche telefonare al numero 035-294021. Il tema del fanatismo, che c’entra con la fedeltà all’ortodossia della dottrina, è molto attuale. La storia ha un suo ritmo, vi gioca un ruolo enorme l’alternarsi delle reazioni psichiche. Noi entriamo in questo ritmo quando prevale la spinta verso l’unità coercitiva, verso un’ortodossia imposta a tutti, verso l’ordine che sopprime la libertà. Si tratta di una reazione al XIX secolo, al suo amore per la libertà e alla sua umanità. Così si produce una psicologia di massa intollerante e fanatica. E al tempo stesso si rompe l’equilibrio e l’uomo si lascia andare fino all’ossessione maniacale. L’individuo diventa vittima di una psicosi collettiva. Si verifica una terribile costrizione della coscienza, vengono soppressi ed espulsi molti tratti umani sostanziali, tutta la complessità emotiva e intellettuale della vita della persona. L’unità si ottiene non attraverso la pienezza, ma attraverso un crescente depauperamento.  L’intolleranza ha una certa parentela con la gelosia. La gelosia è una psicosi per cui si perde il senso della realtà. La vita psichica viene capovolta e si fissa su un punto, ma il punto sul quale si fissa non viene percepito in modo reale. La persona in cui l’intolleranza ha raggiunto il livello del fanatismo, come l’uomo geloso, vede ovunque soltanto tradimento, solo infedeltà, solo violazione del patto di unità; è sospettoso e paranoico, scopre ovunque complotti contro la sua idea prediletta, contro l’oggetto della sua fede e del suo amore. L’uomo intollerante e fanatico, così come l’uomo geloso, è molto difficile da riportare alla realtà. Il fanatico, ossessionato da mania di persecuzione, vede intorno a sé le macchinazioni del diavolo, ma è sempre lui, viceversa, che perseguita, tortura, giustizia. L’uomo posseduto da mania di persecuzione, che si sente circondato dai nemici, è una creatura molto pericolosa, diventa sempre un persecutore: è lui che perseguita, non gli altri che perseguitano lui. I fanatici che compiono i più grandi crimini, violenze e crudeltà si sentono sempre circondati da pericoli, vivono sempre nella paura. L’uomo commette sempre la violenza per paura. Lo stato di paura è intimamente legato al fanatismo e all’intolleranza. Guarire dalla paura vorrebbe dire anche guarire dal fanatismo e dall’intolleranza. Al fanatico il diavolo sembra sempre più forte e terribile, crede più in lui che in Dio. Il fanatismo ha origini religiose, ma passa facilmente all’ambito nazionale e politico. Pure il fanatico nazionalista o politico crede nel diavolo e nei suoi intrighi, anche se la categoria religiosa del diavolo gli è completamente estranea. È sempre contro le forze del diavolo che sono stati creati l’inquisizione, il Comitato di salute pubblica, l’onnipotente polizia segreta, la Ceka. Queste terribili istituzioni sono sempre state create dalla paura del diavolo. Ma il diavolo è sempre stato più forte, è penetrato in queste istituzioni e ne ha preso le redini. Non c’è niente di peggio della paura. La guarigione spirituale dalla paura è la cosa di cui l’uomo ha più bisogno. L’intollerante fanatico commette violenza, scomunica, mette in galera e giustizia, ma egli, in sostanza, è debole e non forte, è oppresso dalla paura e la sua coscienza è terribilmente ristretta, la sua fede in Dio è ancor più piccola della sua tolleranza. In un certo senso, si potrebbe dire che la fede fanatica è indice di debolezza della fede, è mancanza di fede. È una fede negativa. L’ar-chimandrita Fozio, all’epoca di Alessandro I, credeva soprattutto nel diavolo e nell’Anticristo. La forza di Dio gli pareva insignificante rispetto al potere del diavolo. L’Inquisizione crede nella forza della verità cristiana tanto quanto la Gpu crede nella forza della verità comunista. Il fanatismo intollerante rappresenta sempre una profonda mancanza di fede nell’uomo, nell’immagine di Dio nell’uomo, nella forza della verità, cioè, alla fine, una mancanza di fede in Dio. Lenin stesso non credeva nell’uomo e nella forza della verità, esattamente come Pobedonoscev, erano uomini della stessa razza. L’uomo che arriva a lasciarsi ossessionare dall’idea della minaccia e della cospirazione mondiale di massoni, ebrei, gesuiti, bolscevi-chi o della società segreta degli assassini, smette di credere nella forza di Dio, nella forza della verità e fa affidamento soltanto sulla propria violenza, crudeltà e omicidi. Questo tipo di persona in sostanza sarebbe un caso da psicopatologia e psicoanalisi. Per il fanatico non esiste il mondo multiforme. Quest’uomo è ossessionato dall’unico. Ha un atteggiamento spietato e rabbioso nei confronti di tutto ciò che non sia l’unico. Psicologicamente, il fanatismo è collegato all’idea di salvezza o di perdizione. È proprio questa l’idea che rende l’anima fanatica. C’è l’unico che salva, tutto il resto uccide. Quindi, dobbiamo consegnarci totalmente a questo unico e distruggere senza pietà tutto il resto, tutto il mondo molteplice che minaccia di distruggerci. Alla morte, legata alla molteplicità del mondo, si ricollega anche il sentimento di paura, che è sempre nel sottosuolo del fanatismo. Gli inquisitori erano fermamente convinti che le violenze, le torture, i roghi e tutto il resto che compivano fossero manifestazioni di umanità. Lottavano contro la morte per la salvezza, difendevano le anime dalla tentazione delle eresie che le minacciavano di morte. È meglio causare brevi sofferenze nella vita terrena che la morte di molti nell’eternità. Torquemada era un uomo altruista, disinteressato, non desiderava nulla per sé, faceva tutto esclusivamente per la gloria di Dio, in lui c’era persino una certa mitezza, non nutriva rabbia né odio per nessuno, era una 'brava' persona nel suo genere. Sono convinto che allo stesso modo sia stato una 'brava' persona, un altruista e un credente anche Dzeržinskij, il quale in gioventù era stato infatti un fervente cattolico e voleva diventare monaco. Si tratta di un interessante problema psicologico. L’uomo credente, disinteressato, idealista può essere spietato, può compiere le più grandi atrocità. Dare se stesso senza riserve a Dio o a un’idea che prenda il posto di Dio, trascurando la persona, trasformare l’uomo in mezzo e strumento per la gloria di Dio o per la realizzazione di un’idea significa diventare fanatico, spietato, persino un mostro. Proprio il Vangelo ha mostrato agli uomini che non è possibile costruire il proprio rapporto con Dio senza entrare in rapporto con la persona. Se i farisei mettevano il sabato al di sopra dell’uomo e sono stati svergognati da Cristo, allora ogni uomo che abbia messo l’idea astratta al di sopra dell’uomo, professa la religione del sabato respinta da Cristo. Che si tratti dell’ortodossia ecclesiastica, dello Stato, del nazionalismo o dell’idea della rivoluzione e del socialismo. L’uomo ossessionato dalla ricerca e dalla denuncia delle eresie, dalla scomunica e dalla persecuzione degli eretici, è un uomo da tempo smascherato e condannato da Cristo, anche se non se ne rende conto. L’odio patologico per l’eresia è l’ossessione dell’'idea', messa al di sopra dell’uomo. Robespierre amava senza riserve la virtù repubblicana, era l’uomo più virtuoso della Francia rivoluzionaria, e fors’anche l’unico virtuoso. Egli si identificava con la virtù repubblicana, con l’idea della rivoluzione. Era il tipo classico di egocentrico. E la cosa più ripugnante in lui era questa mania della virtù, questa identificazione con la virtù stessa. Il depravato Danton era mille volte migliore e più umano.
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