martedì 25 gennaio 2022
Sarà presentata domani nella Sala stampa estera la raccolta “Ex itinere”: istantanee in versi per non dimenticare le sofferenze del mondo. La prefazione di Edith Bruck
Edith Bruck

Edith Bruck - Ansa

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Brevissimi reportage e frammenti di cronaca in forma di poesia. È l’idea che anima la raccolta di liriche firmate dalla giornalista Stefania Falasca, editorialista di 'Avvenire', che viene presentata domani, 26 gennaio, alle 16.30 nella sede dell’Associazione della stampa estera a Roma (diretta live-streaming su stampaestera.org/live/exitinere.html) in un evento fra letture e musica dal titolo: 'Ex itinere. Poesia in tre tempi tra Occidente e Oriente'. Ex itinere è anche il titolo del libro, edito da Lev (pagine 96, euro 14). Si tratta di testi meditati e scritti sul filo dei viaggi, spesso al seguito di papa Francesco, compiuti negli anni in vari luoghi del mondo, capaci con poche immagini di immergere il lettore nelle grandi ferite dell’umanità in realtà come l’Amazzonia, il muro al confine fra Usa e Messico, le favelas brasiliane, i campi profughi in Cisgiordania e Grecia, e poi Beirut, Istambul, Najaf, Auschwitz. Poesie per non dimenticare, per fare memoria, ma sempre gettando semi di speranza. Ad aprire la presentazione, non a caso, sarà la scrittrice Edith Bruck (qui sotto la sua prefazione al libro) sopravvissuta alla Shoah. Dopo i saluti del direttore di Avvenire Marco Tarquinio e del direttore editoriale della Lev Lorenzo Fazzini, seguiranno gli interventi di L. Rino Caputo, Cristiana Lardo e Vania De Luca. Le letture sono affidate a giornaliste di varie nazionalità: Lucia Capuzzi, Cristiane Murray, Eva Fernandez, Hélène Destombes, Gudrun Sailer, Esma Cakir, Cindy Wooden, Pascale Rizk, Teresa Tseng Kuang Yi, Lina Petri Luciani, Franca Giansoldati. I brani musicali tratti da opere di Beethoven, Respighi, Bellini, Tchajkovskij, Tiersen sono eseguiti da Francesca Polenta, soprano, Gemma Gresele e Cecilia Francesca Romana Valente, arpa. Modera Francesca Serra.

Questi versi itineranti di Stefania Falasca attraversano il mondo. Ciò che colpisce il lettore, almeno me, è la scrittura che sembra incisa sulla carta: luoghi, toni biblici e storici, Dio. E le parole, la potente voce delle parole che pur nella loro semplicità hanno peso specifico e suonano definitive, come l’urlo di Munch sulla tela: notte, luce, bianco, solo, mare, miseria, radici. Aderiscono sulla carta, quasi attecchiscono, come se avessero una loro vita e narrano in molte lingue un’umanità vicina e lontana, e incontri e fedi profondamente radicati nei secoli, dipingendo realtà che sembrano vergognarsi a emergere, quasi che tutti quei mali elencati riguardassero coloro che soffrono e noi: le favelas, i bambini della strada, i rifugiati, memorie, silenzi e paesaggi muti che emanano malinconia con improvvisi raggi di luce solare. La parola 'buio' è nera e alla fine di certe poesie non solo si legge ma si sente il buio, come si sente il bianco avvolgere. C’è qualcosa di interminabile in questi versi, testimonianza del visto come se i vari mondi, pur essendo in perenne subbuglio, sono immoti. L’itinerario del tutto personale dell’Autrice. è illuminato dal suo sguardo acuto e allo stesso tempo sfuggente. Con ciò che ha visto e ascoltato è come se avesse fatto un percorso infinito e solitario, interiore, a tratti inafferrabile, ma solido e impresso sulle pagine come timbro, da un luogo all’altro.

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