martedì 14 gennaio 2014
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La storia delle Esposizioni universali si dipana da metà Ottocento a oggi, coincidendo in gran parte con quel concetto, pratico e filosofico, di modernità che ha accompagnato lo sviluppo delle nazioni occidentali durante le fasi cruciali della rivoluzione industriale. Il mito della macchina a vapore e la visione positivista di un’evoluzione materiale senza fine, capace di apportare benessere alla società nel suo complesso senza soffermarsi troppo sulle contraddizioni nascoste nella produzione a ciclo continuo o sugli evidenti disagi di una parte consistente della popolazione, hanno salutato la nascita delle prime Expo. Le quali consistevano, e consistono tuttora, in una vetrina dove le nazioni del globo presentavano se stesse, i propri tratti caratteristici, le testimonianze storiche e le bellezze paesaggistiche, puntando l’accento soprattutto sull’aspetto delle innovazioni nei diversi settori dell’industria. Per definirsi universale, un’esposizione deve aderire ad alcuni parametri, come prescritto dall’organismo che coordina tali eventi: il Bureau International des Expositions (Bie). La sua frequenza è di circa cinque anni e la durata non supera i sei mesi; occorre un’area, messa a disposizione dalla nazione ospite, per l’allestimento di un padiglione da parte di ogni partecipante; serve infine un tema generale per l’intera manifestazione.La prima che segue questi dettami è la Great Exhibition of the Works of Industry of all Nations che si svolge a Londra, in Hyde Park, nel 1851. Fortemente caldeggiata dal principe Alberto, consorte della regina Vittoria, il suo simbolo è il mastodontico Crystal Palace ideato da Joseph Paxton, con all’interno i padiglioni delle nazioni. Si tratta di una struttura in vetro e ghisa, realizzata assemblando pezzi preformati e riutilizzabili. Infatti, al termine dell’Expo, l’edificio viene smontato e ricomposto a Sydenham, dove nel 1937 sarà distrutto da un incendio. Il Crystal Palace, dall’aspetto leggero e aereo malgrado la mole, si sviluppava su due piani per un totale di 92.000 metri quadrati; per approntarlo sono stati utilizzati 84.000 metri quadrati di vetro e 38.000 tonnellate di ghisa. Era la prima volta che in edilizia si usava in maniera massiccia un modulo base di circa sette metri per lato: tecnica utilizzata spesso in futuro. Le Expo lasciano sempre una traccia architettonica nei Paesi in cui si tengono, non tanto per i padiglioni temporanei quanto per le costruzioni principali.La seconda manifestazione del 1855 si organizza nel Campo di Marte a Parigi. La grandeur di Napoleone III intende superare, con il Palais de l’Industrie, il prestigio del Crystal Palace. Ma è il Teatro du Rond-Point, agli Champs Élysées, che rimane ancora oggi a ricordo di quell’Expo. L’edizione 1855 fu memorabile perché vi parteciparono 53 Stati con le loro colonie e, per la prima volta, un padiglione veniva dedicato alle Belle Arti, con cinquemila opere di oltre duemila autori provenienti da 28 Paesi. Siamo in pieno periodo risorgimentale e gli artisti italiani, anziché in un settore unico, vengono accolti in sezioni identificate col nome degli stati pre-unitari, Austria compresa. La giuria ammette le opere di un migliaio di artisti francesi, ma rifiuta i dipinti di Gustave Courbet, tra cui l’Atelier du peintre, ritenuto scandaloso. Il pittore non demorde e organizza, nei pressi dell’Esposizione, un precario "Padiglione del realismo" che crea però curiosità richiamando pubblico.La sfida per le prime Expo si consuma tra Francia e Inghilterra, due delle maggiori potenze dell’epoca. L’Eu 1860 si tiene a Besançon e quella datata 1867 ritorna sulle rive della Senna. Nel 1872 tocca a Lione e, sei anni dopo, ancora a Parigi.Nel 1880 si approda in Australia con la <+CORSIVOAGORA>Melbourne International Exhibition collocata all’interno dei Carlton Gardens, dove viene eretto il Royal Exhibition Building, meglio noto come "Elefante bianco". L’edificio dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco nel 2004.L’Expo 1885 si tiene in Belgio, ad Anversa; tre anni dopo si svolge a Barcellona. L’evento richiama nella penisola iberica 400.000 visitatori. A distanza di un anno, in occasione del centenario della Rivoluzione francese, prende avvio l’Exposition universelle de Paris 1889. La sede è il Campo di Marte e la Terza Repubblica avverte l’importanza politica dell’appuntamento. Si inaugurano vari edifici, come il Grand Dôme Central, la Galerie des Machines e una ricostruzione della Bastiglia. Poi c’è la Tour Eiffel. La creatura dell’ingegner Gustave Eiffel, posta all’entrata della zona espositiva, è alta 324 metri ed è composta da 18.000 barre di ferro. Per alcuni è magnifica: simbolo del progresso tecnico della civiltà umana; per altri è orribile. Guy de Maupassant la considera una «alta e magra piramide di scale metalliche, con uno scheletro sgraziato e gigantesco». Contro il clamore dell’Expo e delle celebrazioni ufficiali, lo scrittore fugge da Parigi a bordo del suo yacht, narrando questa esperienza in La vita errante che si apre proprio con un’invettiva contro la Torre. Al Café Volpini, un elegante locale all’interno dell’Expo, si svolge anche la collettiva di opere di Gauguin e del gruppo impressionista sintetista. Come dire, dentro l’Esposizione ma in disparte.Al passaggio del secolo, nel 1900, la manifestazione è di nuovo al Campo di Marte. Vengono costruiti altri edifici, dalla Gare de Lyon alla Gare d’Orsay, e presentata una recente invenzione: il cinematografo. E la Tour Eiffel, ormai parte del paesaggio, non suscita più critiche.
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