martedì 15 maggio 2012
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​Qualche giorno fa un quotidiano francese affermava: «L’Italia resta il solo paese d’Europa a vantare tutti gli ingredienti necessari per un buon festival: il glamour che stimola le fantasticherie, la provocazione che eccita i media e l’esigenza artistica che alimenta la riflessione dei cinefili». Caratteristiche che dovrebbe possedere anche il film di Garrone, Reality, in gara venerdì 18 al prossimo Festival di Cannes al via domani e in cartellone fino a domenica 27. Dodici giorni di grande cinema celebrato in una kermesse che, sotto l’occhio dell’icona Marilyn, si appresta a festeggiare 65 anni in compagnia dei "soliti noti", giovani scoperte (speriamo), grandi star pronte a scalate la Montée des marches e un vero e proprio esercito di addetti ai lavori in fibrillazione per un programma davvero fitto di appuntamenti. Ma diciamo la verità, nessuno rinuncerebbe a partecipare al festival più bello del mondo, diretto dal 2001 da Thierry Frémaux alle prese quest’anno con le polemiche "femministe" che lamentano la scarsità di registe in gara. Cosa piacerà al presidente di giuria Nanni Moretti? Se lo chiedono anche gli stranieri che ben conoscono il suo umore non proprio solare, ma non bisogna dimenticare che a decidere la prossima Palma d’Oro saranno anche lo stilista Jean Paul Gaultier, gli attori Ewan McGregor, Diane Kruger, Hiam Abbas, Emmanuelle Devos, i registi Alexander Payne, Andrea Arnold, Raoul Peck. Il viaggio cinematografico intorno al mondo comincerà dagli Stati Uniti di Wes Anderson, che apre il festival con Moonrise Kingdom, love story tra due dodicenni. Da oltreoceano arrivano anche John Hillcoat con Lawless su fabbricatori illegali di alcol nella Virginia del proibizionismo, Andrew Dominik con il gangster movie Killing Them Softly, Jeff Nichols con Mud su due bambini amici di un cacciatore di taglie e Lee Daniels con Paperboy su un uomo forse ingiustamente condannato a morte. Ma fuori competizione ci sono anche i divertenti animali del cartoon Madagascar 3 - Ricercati in Europa e Phillip Kaufman con Hemingway and Gellhorn, uno dei molti film di quest’anno profondamente legati alla letteratura. Dal romanzo di Don De Lillo è tratto infatti Cosmopolis di David Cronenberg che con la sua odissea esistenziale attraverso una caotica New York, metafora dell’attuale tracollo economico, si piazza senza dubbio tra i favoriti per la Palma d’Oro. Ma l’Europa non starà a guardare: se l’Italia vedrà fuori concorso due dei registi più amati dal pubblico internazionale – Bertolucci con Io e te e Argento con Dracula 3D  – la Francia, galvanizzata dall’Oscar a The Artist, il successo di Quasi amici e un nuovo presidente all’Eliseo, è decisamente la più agguerrita. A rappresentarla il novantenne Alain Resnais con Vous n’avez encore rien vu, adattamento dell’Euridice di Jean Anouilh, il redivivo Leo Carax con Holy Motors e il talentuoso Jacques Audiard con De rouille et d’os. Ma il tricolore francese batte anche su Amour dell’austriaco Michael Haneke. A chiudere il Festival sarà poi Thérèse Desqueryroux di Claude Miller, recentemente scomparso, tratto dal romanzo di Francois Mauriac. Grande attesa anche per l’inglese Ken Loach con The Angel’s Share, il rumeno Christian Mungiu con Beyond the Hills, il danese Thomas Vinterberg con The Hunt e un altro austriaco, Ulrich Seidl che con Paradise: Love farà discutere con una visione molto provocatoria della carità cristiana. Ben rappresentato quest’anno il Sudamerica con due film in gara – On the Road del brasiliano Walter Salles e Post tenebras lux del messicano Carlos Reygadas – e altre pellicole sparse in altre sezioni, come Elefante blanco dell’argentino Pablo Trapero, che dirige anche un episodio del film collettivo 7 giorni all’Avana. La Corea ha ben due film in competizione – Taste of Money di Im Sangsoo e In Another Country di Hong Sangsoo, ma in Giappne è ambientato Like Somebody in Love dell’iraniano Abbas Kiarostami. E nella sezione Un certain regard si fa notare  11.25 The Day He Chose His Own Fate di Koji Wakamatsu sugli ultimi giorni dello scrittore Yukio Mishima morto suicida. Obiettivi puntati infine sui paesi arabi che riflettono sulla loro "primavera" ancora in corso, sul valore della democrazia e sui cambiamenti politici nel bacino del Mediterraneo, come dimostrerà After the Battle dell’egiziano Yousry Nasrallah.
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