sabato 22 maggio 2010
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L’Europa è la sua storia. E la storia d’Europa non è la storia di un’unica idea, di una tradizione monolitica. La storia dell’Europa è piuttosto la storia – certo punteggiata anche di errori, di soprusi, di massacri – di una tradizione in cui nascono, si sviluppano, s’incontrano e si scontrano più idee filosofiche e più idee religiose, svariate proposte politiche e più visioni del mondo: buone e cattive. L’Europa è la sua storia. E questa storia non è la storia di un’idea che permette una sola tradizione, ma è la storia di una tradizione che permette le idee più diverse e azzardate. Non è la storia di una prigione mentale; è piuttosto la storia – talvolta dolorosa, talvolta impazzita – della provincia del mondo che ha conosciuto la fioritura più varia e ricca di idee (buone e cattive) spesso in contrasto tra di loro. Ed è proprio questo ciò che distingue l’Europa e la sua storia dalla storia di altre culture. Ed ecco, allora, riapparire quel destino comune dell’Europa che sembrava, invece, essere scomparso nel vortice delle molte idee, delle tante filosofie e delle differenti visioni del mondo. La nostra civiltà – è Popper a parlare – è la migliore perché la più capace di autocorreggersi. Si autocorregge perché guidata dal valore della ragione critica – e perché critica è anche tollerante. Ragione critica, pluralismo, rispetto delle diversità sono elementi che, in una storia travagliata, hanno contribuito a delineare i tratti dell’identità europea. Una consapevolezza, questa, che va da Strabone, il quale parlava dell’Europa come di «una nazione dai cento volti»; a santo Stefano, il re di Ungheria, che nei Monita ai suoi eredi faceva presente che «unius linguae uniusque moris regnum fragile est»; giù sino a Jakob Burckhardt. Questo grande storico, nella Lezione del 14 maggio del 1869, all’Università di Basilea, così parlava dell’Europa: «Vi è una cosa che non dobbiamo desiderare, perché l’abbiamo a nostra disposizione: è l’Europa in quanto focolaio, nel contempo vecchio e nuovo, con una vita da mille aspetti, luogo di nascita delle più ricche creazioni, patria di tutti i contrasti che sono riassorbiti nella sua unità». Ragione critica, pluralismo e tolleranza – linee portanti della nostra tradizione. Esiti essi stessi di tentativi e di errori, non sempre egemoni, questi valori, qui o là, per periodi più o meno lunghi, sono stati avversati, messi in ombra, calpestati. Ma sono di continuo riemersi. L’albero tagliato è rinato; le sue radici erano solide. Ed esse affondano nella cultura greca da una parte e nel messaggio cristiano dall’altra. È un pensatore laico come Popper a riconoscere il valore che la tradizione cristiana attribuisce alla coscienza dei singoli individui. Per un umanitario, e soprattutto per un cristiano, egli scrive ne La società aperta e i suoi nemici, «non esiste uomo che sia più importante di un altro uomo». E «riconosco [...] che gran parte dei nostri scopi e fini occidentali, come l’umanitarismo, la libertà, l’uguaglianza, li dobbiamo all’influsso del cristianesimo. Ma, nello tesso tempo, bisogna anche tener presente che il solo atteggiamento razionale e il solo atteggiamento cristiano anche nei confronti della storia della libertà è che siamo noi stessi responsabili di essa, allo stesso modo che siamo responsabili di ciò che facciamo delle nostre vite e che soltanto la nostra coscienza, e non il nostro successo mondano può giudicarci». «Il metro del successo storico appare incompatibile con lo spirito del cristianesimo». «I primi cristiani ritenevano che è la coscienza che deve giudicare il potere e non viceversa». E ancora: la coscienza di ogni singola persona, unita con l’altruismo, «è diventata – scrive Popper – la base della nostra civiltà occidentale. È la dottrina centrale del cristianesimo ("Ama il prossimo tuo", dice la Scrittura, e non "ama la tua tribù") ed è il nucleo vivo di tutte le dottrine etiche che sono scaturite dalla nostra civiltà e l’hanno alimentata. È anche, per esempio, la dottrina etica centrale di Kant ("Devi sempre riconoscere che gli individui umani sono fini e che non devi mai usarli come meri mezzi ai tuoi fini"). Non c’è alcun altro pensiero che abbia avuto tanta influenza nello sviluppo morale dell’uomo». Da questa prospettiva il cristianesimo è stato l’evento politico più importante dell’Occidente: per decreto religioso lo Stato non può essere tutto. La teocrazia, in questo modo, non fa parte del destino dell’Europa. È questo un tratto che distingue quella europea da altre civiltà. È, appunto, nel messaggio cristiano che affondano le radici di quel grande principio di libertà, tra l’altro, che è il principio di sussidiarietà. Su questo nevralgico argomento, relativo al rapporto tra messaggio cristiano e politica, chiaro è il pensiero di Joseph Ratzinger: «[...] Fino a Cristo l’identificazione di religione e Stato, divinità e Stato, era quasi necessaria per dare stabilità allo Stato. Poi l’islam ritorna a questa identificazione tra mondo politico e religioso, col pensiero che solo con il potere politico si può anche moralizzare l’umanità. In realtà, da Cristo stesso troviamo subito la posizione contraria: Dio non è di questo mondo, non ha legioni, così dice Cristo, Stalin dice non ha divisioni. Non ha un potere mondano, attira l’umanità a sé non con un potere esterno, politico, militare ma solo col potere della verità che convince, dell’amore che attrae. Egli dice "attirerò tutti a me". Ma lo dice proprio dalla croce. E così crea questa distinzione tra imperatore e Dio, tra il mondo dell’imperatore al quale conviene lealtà, ma una lealtà critica, e il mondo di Dio, che è assoluto. Mentre non è assoluto lo Stato».
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