giovedì 19 maggio 2011
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Le metropoli sono punteggiate da grattacieli sempre più alti, mera­viglie della tecnica che domina­no sconfinati panorami urbani. Ma il cuore dei popoli batte ancora per le antiche architetture ecclesiastiche, che sono segno di identità e simbolo delle comunità. Tra queste, la Torre di Pisa, coi suoi ordini di archi sovrap­posti e la sua tipica inclinazione – quasi un accenno di perplessità sulla durata delle umane glorie – è non so­lo l’araldo della propria città, ma una delle icone del nostro paese agli occhi del mondo. Per questo la conclusione del restauro delle sue superfici lapi­dee è un evento di primaria rilevanza, che porge il destro per convocare un convegno internazionale su 'La con­servazione delle grandi Cattedrali eu­ropee. Esperienze a confronto', che si terrà proprio a Pisa domani e il 21 maggio, (Auditorium G. Toniolo, Piaz­za Arcivescovado: per informazioni Opera della Primaziale di Pisa, tel. 050835011, www.opapisa.it).Il restauro del campanile pisano è partito nel 2000 e ha interessato i qua­si 25 mila conci che compongono le sue superfici, estese su un’area totale di oltre 7 mila metri quadrati. La squadra di sette restauratori ne ha ri­pulito centimetro per centimetro tut­to l’interno e l’esterno, così da ripor­tarla alla cromia originale. Per evitare di incidere sul continuo flusso di turi­sti che visitano il monumento, i lavori sulla scala elicoidale interna sono sta­ti effettuati solo durante le ore nottur­ne. Il mistero della sua pendenza è stato non del tutto, ma in gran parte chiarito: pare certo che la torre, alta 55 metri fuori terra, sia stata concepi­ta come un edificio diritto e che il suo cedimento si sia manifestato sin dalle fasi iniziali della costruzione, a causa delle caratteristiche del terreno sotto­stante, attraversato a circa un metro di profondità da falde acquifere.L’opera di restauro delle superfici può apparire come qualcosa di po­co conto: una specie di lavag­gio come quello che si fa di quando in quando per l’auto­mobile. Ma non è così: basti pensare che tutta l’operazione è durata dieci anni e costata circa 5 milioni e mezzo di euro. Dalle superfici lapidee infatti devono essere asportati gli aci­di e i residui organici che vi si depositano soprattutto a causa dell’inquinamento atmosferi­co e che a lungo andare, oltre a scurirle, le erodono, minac­ciando in particolare fregi, or­namenti, bassorilievi. E la puli­zia va realizzata in modo tale da non scalfire le pietre o i marmi: è un’opera di precisione chirurgica che richiede mani ferme, cognizione di causa, uso delle tecniche più appropriate. I lavori che hanno interessato la Torre pisana, d’altro canto, sono portati a­vanti in continuità su tutte le grandi basiliche, di tutta Europa, che di soli­to dispongono di cantieri permanen­ti, che spesso operano senza soluzio­ne di continuità (è per esempio il ca­so del Duomo di Milano) con le fab- bricerie che hanno eretto queste monumentali architetture nel corso di secoli. Di qui la decisione di met­tere a confronto diverse esperienze che riguardano la gestione di cantieri permanenti, che richiedono lavori specialistici e necessitano di finan­ziamenti appropriati.Guardare all’o­pera di questi cantieri significa os­servare un percorso che continua i­ninterrotto dal Medioevo a oggi. Per esempio il Duomo di Colonia fu co­minciato nel 1248, ma tra guerre e crisi di varia natura, la sua costruzio­ne non è stata completata che alla fi­ne del XIX secolo. L’antica origine delle fabbricerie ren­de a volte difficile inquadrarle nel contesto degli assetti giuridici con­temporanei: esse infatti si occupano delle grandi cattedrali, ma non ne so­no le proprietarie. La proprietà nel senso contemporaneo del termine re­sta fumosa, perché gli edifici nascono nel Medioevo come risultato di un’impresa corale promossa dai citta­dini, ben prima che si costituissero gli Stati moderni con le loro organizza­zioni. Nel convegno di Pisa si parla anche di questi problemi, oltre a quelli legati alla conservazione. Un contributo im­portante viene dall’esponente della Sagrada Familia barcellonese, Xavier Martinez, perché questa, pur non es­sendo cattedrale, ha un cantiere il cui funzionamento è in tutto identico a quello di una cattedrale medievale: ed è ancora in costruzione.Ogni cattedrale racconta una storia diversa, inestricabilmente connessa con le sorti del paese di appartenen­za. Per esempio quella di St. John, concattedrale della Valletta (Malta) è intimamente legata all’Ordine dei Ca­valieri di San Giovanni di Ge­rusalemme, Rodi e Malta, le cui sepolture ne tappezzano la pavimentazione mentre le pareti recano importanti pit­ture italiane e arazzi fiammin­ghi. Come tutte le altre catte­drali, anche St. John è sempre di più meta di 'pellegrinaggi' turistici. Tale è anche l’Abba­zia di Westminster, dove sono incoronati i re britannici: ac­coglie oltre un milione di visitatori all’anno che passano sul pavimento cosmatesco e dall’anno scorso dispone di un centro educativo i cui corsi sono stati seguiti già da 3500 studenti: come nel Medioevo, questi grandi luoghi di culto tornano a essere luo­ghi di scienza. Le altre cattedrali di cui si parla a Pisa sono San Pietro inVati­cano, il Duomo di Milano, l’Abbazia di Mont-Saint-Michel, le Cattedrali di Burgos, Londra, Siviglia, Santiago de Compostela, Firenze, Aachen, Parigi, le basiliche di Braga, San Marco in Venezia: una panoramica sull’Europa del Medioevo e sulla sua continuità ai nostri giorni. La Sagrada Familia a Barcellona, ancora non completata La Torre di Pisa è stata appena restaurata: qui vengono smontati i ponteggi
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