giovedì 5 ottobre 2017
Il presidente dell'Istituto Luigi Sturzo: «C'è troppo leaderismo in politica. De Gasperi e Moro insegnano che a volte un passo indietro serve a far viaggiare le idee a prescindere dalla persona»
Antonetti: «È tempo che l'Europa torni a imparare dalle sue origini»
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«Siamo un istituto di cultura cristiana laico e plurale. La cultura cattolica impegnata in politica ha sempre guardato al bene del Paese più che al suo stretto interesse e Sturzo ha fatto proprio questo durante la sua faticosa vita», dice Nicola Antonetti. Alla guida dell’Istituto Sturzo da due anni e mezzo lo ha aperto sempre più a tematiche di attualità, dall’Europa all’immigrazione, passando per la rivisitazione degli anni di piombo. «Anche se il nostro “core business” resta la cultura politica e istituzionale ». Il centenario della nascita di Moro è stata l’occasione per approfondire la sua figura dal punto di vista dello statista che ha segnato le grandi svolte politiche del Paese. Si rafforza una sinergia con la rappresentanza italiana della fondazione intitolata ad Adenauer, che fu con De Gasperi fra i padri dell’Europa. Dopo quella di oggi con Napolitano e Pöttering, nuove iniziative si annunciano in dicembre sui sessant’anni dei Trattati di Roma.

Che momento è, questo per l’Europa?

«Certo molto difficile. Ma il processo europeo, da quando è nato, ha sempre attraversato momenti di “stop and go”. Dopo la bocciatura della Costituzione europea da parte dell’Olanda questa fase ha avuto il suo culmine con la scelta della Gran Bretagna che io giudico improvvida. Si è aggiunta poi l’elezione di Trump e una ventata populista che ha attecchito soprattutto presso una larga fascia che non sa che cos’è l’Europa. Per questo stiamo lavorando molto con la fondazione Adenauer sul versante culturale. Oggi, purtroppo, nessuno si occupa più di formazione».

Agnese Moro dice che, a guardarci dentro, il populismo nasce da speranze deluse.

«Il problema si pone soprattutto con le giovani generazioni. Che spesso ignorano le strade che la democrazia offre per uscire dalla crisi. C’è una rappresentazione delle difficoltà, ma non una rappresentanza. La mediazione tipica della nostra cultura liberal-democratica sembra smarrita. E questi processi, se strumenta-lizzati, possono portare a esiti che abbiamo già conosciuto, in Italia e in Europa.

Le farraginosità della nostra democrazia parlamentare non sono anche un potente antidoto alle scorciatoie populiste dell’uomo solo al comando?

«Il Parlamento è l’unico luogo in cui il bisogno particolare si coniuga con il bisogno del Paese. Se salta questo, l’esperienza della Repubblica di Weimar dovrebbe avercelo insegnato e anche il nostro 1925, si va da un’altra parte. Al di là dei giochini politici che vediamo, è questa la frontiera su cui lavorare, per noi, recuperare l’e- sperienza della storia recente per non cadere di nuovo in certi errori».

Spesso nel lanciare nuove formazioni politiche si sostiene che l’intento non è quello di rifondare la Dc, come fosse uno spettro da tenere lontano.

«La storia non si ripete, bisognerà trovare forme nuove, cercare orientamenti comuni attraverso i quali incidere in politica, tenendo conto delle evoluzioni degli ultimi vent’anni, dopo la crisi e la fine della Dc. Non ci occupiamo delle soluzioni politiche, naturalmente, ma questa operazione di memoria e di elaborazione è decisiva nel momento difficile che attraversiamo».

Ma sul futuro dell’Europa c’è da essere ottimisti?

«Tendo a pensare che il peggio sia passato. Perché c’è, non dico un popolo europeo, che siamo tutti diversi, ma un’idea comune basata su alcuni principi fondamentali che possiamo riscoprire, una cultura dei diritti che abbiamo offerto al mondo e dovremmo ora rivalutare per noi stessi».

D’altronde la Gran Bretagna che ha scelto di uscirne non mostra tanta fretta di farlo…

«L’Inghilterra ha fatto fatica ad entrare in Europa e farà fatica ad uscirne. I giuristi hanno grande fantasia, probabilmente si inventeranno un modo per fare un mezzo passo indietro».

Non diventa, questo, uno spot per l’Europa?

«Diventa un invito a darsi da fare. Io dico che ce la facciamo, speriamo solo di non dare in Italia il cattivo esempio».

Che cosa c’è in Moro e De Gasperi da trattenere più di tutto, per i giovani?

«De Gasperi ci insegna la politica delle alleanze, ci ricorda che non si decide mai da soli il futuro del Paese, e mai lo decide un Paese solo. Moro invece ci insegna che le svolte non vengono ma da fuori, ma nel luogo deputato a prendere le decisioni, ossia le Camere. Il centrosinistra come il compromesso storico furono concepiti o rifiutati in Parlamento. E su questo ci ha rimesso la vita».

In questo momento difficile De Gasperi e Moro avrebbero lavorato per allargare le alleanze fra partiti “europeisti”?

«Lo avrebbero fatto certamente, avendo il prestigio per poterlo fare e per capire i nessi e gli sviluppi della politica internazionale. Quel che rende tutto più difficile, oggi, invece, è il leaderismo scatenato. I cattolici hanno sempre saputo di essere sostituibili. Moro e De Gasperi al momento opportuno hanno saputo fare dei passi indietro per fare in modo che le idee andassero avanti a prescindere dalla persona».

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