sabato 11 marzo 2017
A colloquio con lo scrittore Marco Truzzi: "La separazione è in primo luogo culturale. E la vera contrapposizione è sempre tra chi spera e chi si rinchiude"
Profughi a Ventimiglia

Profughi a Ventimiglia

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Un confine c’è sempre, anche quando non si vede. «Pensi che le contrapposizioni più forti le abbiamo trovate nei Paesi scandinavi. E sì che fra Danimarca e Svezia c’è un ponte, non un muro: il lunghissimo e spettacolare ponte di Øresund», racconta Marco Truzzi. Narratore e reporter, negli scorsi anni ha viaggiato per l’Europa insieme con il fotografo Ivano Di Maria. «All’inizio volevamo documentare le frontiere in dismissione: gabbiotti doganali abbandonati, checkpoint in disuso, il tipo di geografia al quale pensavamo di esserci ormai abituati – spiega –. Abbiamo trovato invece una rete di confini non solo ancora attivi, ma anche popolati, a volte addirittura affollati. Molto si poteva testimoniare con le immagini, per qualcos’altro servivano le parole». Ecco perché, dopo aver partecipato con un suo testo al catalogo della mostra fotografica Europe Around the Borders (Panini), Truzzi pubblica ora da Exòrma il diario delle sue esplorazioni. Il volume si intitola Sui confini, comprende una bella scelta delle immagini realizzate da Di Maria ed è pubblicato da Exòrma, che lo porterà in libreria il 16 marzo (pagine 168, euro 14,50). I luoghi con cui si sono identificate le più recenti emergenze ci sono tutti, da Ventimiglia a Calais, da Idomeni allo sbarramento tra Serbia e Ungheria. Ma nel resoconto di Truzzi trovano spazio anche situazioni e personaggi insospettabili. Come Tommy, il meccanico svedese che proprio non capisce come mai quei due italiani si siano messi in mente di andare in Norvegia: una volta arrivati di là, sostiene, non c’è più niente da vedere.

«È sempre una questione di punti di vista – commenta Truzzi –. Un confine serve essenzialmente per delimitare e proteggere un territorio, ma si trasforma in frontiera nel momento in cui, dall’esterno, qualcuno preme per entrare. Molti dei posti che abbiamo visitato possono sembrare terribili. Anzi, lo sono senz’altro. Eppure è proprio a Idomeni o nella “Giungla”, ora smantellata, di Calais che abbiamo incontrato tante storie di speranza, in una pulsione di vita che non può fare a meno di guardare al futuro. Non voglio trarne una regola generale, ma i difensori dei confini, di solito, hanno più a cuore il passato». Il caso più eloquente e più inquietante è quello di Basilea, cuore di un’Europa che non è e non sarà mai Unione Europea. Qui, nel punto di convergenza fra Svizzera Germania e Francia, si arriva anche per accedere ai servizi delle organizzazioni che garantiscono il suicidio assistito. «Il contrasto non potrebbe essere più stridente – osserva Truzzi –. Mentre altrove le frontiere sono prese d’assalto da persone che vogliono vivere, a Basilea si viene per morire. Si varca un altro confine invisibile, di tipo etico e culturale. Confesso di essere molto disorientato da questa contraddizione».

Sui confini è anche, ma non esclusivamente, il libro di una generazione. «Sono nato nel 1975 – dice Truzzi –, ho visto cadere il Muro di Berlino e nascere gli accordi di Schengen. La condizione diffusa, in quegli anni, era che confini e frontiere fossero ormai condannati all’estinzione. A distanza di tempo, mi viene il sospetto che sia più facile innalzare un muro che farlo crollare. Senza dimenticare che certe barriere non sono mai state smantellate». Sotto questo profilo uno dei capitoli più illuminanti del libro è quello dedicato ai Balcani: «Oggi ai confini la situazione può cambiare con una velocità spaventosa – dice Truzzi – ma anche nei primi anni Novanta tutto è accaduto molto rapidamente: tanto rapidamente da non darci modo di comprendere con esattezza. Le guerre nella ex Jugoslavia sono state l’annuncio del processo al quale stiamo assistendo attualmente e che porta a stabilire nuovi confini o di restaurarne di antichi. Anche allora, però, la separazione si è consumata anzitutto all’interno delle coscienze, con la rivendicazione di un’identità etnica che cancellava decenni di convivenza». Un’ambiguità sempre in agguato, come dimostra il paradosso dell’Ungheria, estremamente rigida nella difesa dei propri confini e contemporaneamente entusiasta dell’appartenenza all’Unione Europea.

Tra una notazione e l’altra, nel ragionamento di Truzzi affiorano argomenti che sembrano in consonanza con le parole di papa Francesco. «Sì, come la questione della terza guerra mondiale combattuta a pezzi – ammette –. Per sua natura e struttura, la Chiesa è da sempre portata a una visione globale, che si pone al di sopra di ogni esclusivismo e nazionalismo. Sinceramente non riesco a trovare nulla di simile nella politica di oggi, troppo ripiegata sul presente per provare a scommettere sul futuro. La Brexit, la candidatura di Marine Le Pen in Francia e tanti altri segnali analoghi nascono da questa chiusura, da questo arroccamento dentro i confini».

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