martedì 15 marzo 2022
Narrazioni di vite immaginarie, giovani orfani di padre e madre, vecchi, curiosi personaggi che entrano con umorismo nella realtà: i racconti di Fabio Bartolomei
Lo scrittore Fabio Bartolomei

Lo scrittore Fabio Bartolomei - archivio

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Si è figli per sempre? È una vocazione, un destino, una benedizione o una maledizione quella di rimanere in eterno ancorati nella mente al pensiero dei genitori, pensando a sé stessi solo e sempre come figli? La domanda, attuale e negli ultimi decenni di più ancora, lo scrittore romano Fabio Bartolomei se la pone senza alcuna gravità: con leggerezza invece; quasi per gioco, anzi. Costruendo a partire da questo particolare rovello psicologico un felice stile narrativo. Stile che si mantiene sul filo dell’assurdo senza mai perdere equilibrio e virare verso l’eccessivo, o l’inverosimile. Strane vicende romanzesche, paradossali e divertenti, al cui centro sempre permane lo stesso tema: l’essere figli, in molte sue declinazioni. Il risultato è nientemeno che una quadrilogia di romanzi, l’ultimo dei quali sin dal titolo esprime ed esalta una riflessione sull’argomento. Il figlio recidivo (e/o, pagine 142, euro 14) dopo altre tre storie ( Morti ma senza esagerare, Diciotto anni e dieci giorni, Tutto perfetto tranne la madre) si dipana a partire da un curiosissimo personaggio, il giovane Tommaso, il quale, orfano di padre e madre, cerca genitori vicari dai quali ricevere l’amoroso sguardo di approvazione che tanto gli manca. A Roma abbiamo incontrato l’autore per meglio capire le radici di questa sua fortunata e originale chiave narrativa.

Come è nata questa quadrilogia?

Ormai diverso tempo fa presentai al mio editore testi diversi, di situazioni e personaggi che mi sembravano degni di essere sviluppati. Attendevo in risposta una selezione, obiezioni critiche, ho trovato invece convinto entusiasmo. Le storie che avevo immaginato, tutte valevano la pena di essere raccontate. Una volta individuati scenario e figure, ho lavorato moltissimo sul meccanismo interno del racconto. Procedo sempre così, scrivo e riscrivo sino a quando non sento che tutto tiene. Sono equilibri sottili, qualcosa di analogo a un gioco a incastro. Le mie sono storie paradossali, che voglio possano divertire ma che anche devono avere una loro logica che le renda narrativamente solide, convincenti.

La sua scrittura unisce misura e divertimento, concisione e umorismo; è un effetto voluto, e ottenuto in che modo?

Il criterio è il divertimento: io per primo devo divertirmi mentre scrivo. Non appena mi annoio, vuol dire che qualcosa non va. E poi, penso di avere imparato molto da quelli che ritengo i mei mae- stri, autori statunitensi soprattutto, John Fante, e più ancora Steinbeck. I finali dei racconti di Steinbeck, prodigiosi. Pagine che mi hanno visto lettore entusiasta e tanto desideroso di apprendere. Bisogna arrivare a una frontalità, sia come autore con il testo, sia dei personaggi tra di loro; una frontalità che è possibile solo grazie a una forte solidità di struttura.

Senza troppo anticipare ai lettori, possiamo dire che in Il figlio recidivo il protagonista, Tommaso, si avvicina a genitori "possibili" mosso in principio da un moto di forte compassione per la loro condizione di vecchi…

La solitudine degli anziani è qualcosa cui penso e su cui rifletto da quando sono ragazzo. Per motivi autobiografici e non solo, m’interpella l’idea di questa età tanto vulnerabile e abbandonata, e quella dell’empatia che essa può generare in chi è più giovane.

L’idea di scrivere su una sorta di insuperabile fissità dell’essere figli, da dove è nata? Lei da scrittore ne scorge un’attualità, un’urgenza? Come si dà una possibilità di recidere i legami interiori con i genitori, nelle sue storie dove l’evoluzione dalla condizione di figli sembra destinata a permanere sempre, senza variazioni?

Mah, piuttosto un’idea che ha preso forma per caso, sia prima della quadrilogia, sia ora per i miei progetti futuri, lavoro a libri diversi da questi. E d’altra parte, i rapporti tra i genitori e i figli sono un territorio intenso, di per sé interessante e fecondo; anche per i sensi di colpa che come figli si conoscono per lungo tempo, gli stessi che in parte animano Tommaso e guidano i suoi stranissimi gesti.

Ha dei lettori e interlocutori privilegiati per i suoi testi in corso di lavorazione?

La mia compagna: mi legge quando ho finito di scrivere e mi dà responso (preziosissimo) sui miei romanzi. Ma anche mia sorella; il suo giudizio, anche quello è molto importante, e la mia fantasia deve tanto ai nostri giochi infantili. Ricordo che di ogni gioco in scatola buttavamo via le istruzioni, così da poterlo reinventare tutto da capo. Credo che nella mia testa l’immaginazione e un certo senso di comicità e divertimento siano cominciati allora, da quel liberarsi delle regole e giocare davvero, inventando, costruendo mondi.

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