mercoledì 12 settembre 2018
Arriva in Italia per la prima volta un testo dello scrittore russo secondo il quale ogni sistema strutturato di pensiero inchioda a terra e impedisce di avvicinarsi al sentimento di Dio
Šestov: «La filosofia toglie respiro all’anima»
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«Esi veda quali domande Šestov sa porre, la cattiva volontà che sa mostrare, l’impotenza a pensare che mette nel pensiero, la doppia dimensione che sviluppa nelle sue domande esigenti che riguardano a un tempo il cominciamento più radicale e la ripetizione più ostinata » esclama Gilles Deleuze in Differenza e ripetizione. Ebbene, sì. Difficile ignorare la determinazione di Lev Šestov nell’interrogare per fugare infingimenti e rasserenanti semplificazioni. Non si può non riconoscergli il coraggio di porre le questioni più radicali. E neppure disconoscergli le energie profuse in un acceso corpo a corpo con l’intera tradizione filosofica che finisce col trovarsi con le spalle al muro come testimonia Sola fide. Filosofia greca e filosofia medievale - Lutero e la Chiesa (pp. 288, euro 26) pubblicato ora per la prima volta in traduzione italiana da Mimesis con la curatela di Enrico Macchetti, Giuseppe Riconda e Glauco Tiengo. Šestov (1866-1938), il cui vero nome è Lev Isaakovitc Schwartzmann, è uno di quei pensatori misconosciuti capaci però di influenzare filosofi e scrittori che godono di maggior credito. Dal suo esilio in Francia, dopo la rivoluzione bolscevica, trarranno vantaggi Gabriel Marcel, André Gide, Georges Bataille. E più tardi Albert Camus.

Al passaggio del secolo Šestov frequenta gli anarchici, scrive di letteratura e si nutre di Pascal, Tolstoj, Dostoevskij, Nietzsche. Fin dagli esordi la sua riflessione non cerca alcuna soluzione rassicurante alla vita. È una voce che chiama nel deserto. La sua filosofia si attesta ai confini della vita laddove essa non vede più un senso per se stessa. Allora Šestov si lancia generosamente contro quella filosofia che prova a sottrarla al disorientamento perché è proprio il disorientamento a rappresentare la soglia aperta al mistero. E il pensatore russo è il martello che frange tutti i tentativi di disinnescarlo. Non si danno altre possibilità, si deve scegliere tra Atene e Gerusalemme, tra ragione e fede. Tertium non datur. La prima volta che Šestov si dedica completamente alla filosofia è proprio in Sola fide , un testo che la Prima guerra mondiale impedirà di concludere anche se ormai quasi terminato come scrive lui stesso nelle pagine conclusive.

Eppure nell’economia del suo cammino di pensiero questo lavoro, rimasto in sospeso, segna uno spartiacque. Non solo perché in esso Šestov rinuncia, per la prima volta, a confrontarsi con testi letterari. Ma, soprattutto, per il fatto che qui assurge in tutta la sua importanza quell’esperienza religiosa intraducibile in parole. La sua ineffabilità permette di disinnescare l’ambizione normalizzatrice dei sistemi filosofici. «Ovunque guardiate – ammonisce Šestov –, non importa quale sistema filosofico o morale voi prendiate in esame; finirete immancabilmente per imbattervi nella conclusione che il senso e lo scopo ultimo della nostra esistenza consistono nell’attuare, entro i limiti imposti alle nostre forze, un determinato compito etico» al fine di annullare la potenza del mistero. La filosofia non serve solo a rendere sopportabile l’abisso che si apre sopra la vita inventandosi l’uomo saggio capace di accontentarsi. «Dato che nella soddisfazione risiede il fine ultimo della vita – rimarca il pensatore russo – di conseguenza la filosofia, cercando di fornire all’uomo la sapienza, dovrà limitarsi a quelle verità che possono aiutarlo a fuggire la follia e la sofferenza, differendo per quanto possibile la sua condanna a morte. In effetti, la filosofia si comporta proprio così. Essa non ammette verità pericolose». Esse si sottraggono a ogni dimostrazione perché mettono in discussione la vita spingendola di fronte al mistero. E lì nessuna forza umana conta ma la Sola fide. Essa, spiega Šestov, «non consiste nell’essere disposti a riconoscere la verità di certe conclusioni. Per quanto riconosciate veri questi o quei giudizi, non vi avvicinerete di un passo a Dio», perché solo la fede «è il passaggio a una nuova vita».

Mai la ragione potrebbe condurla a questo. Anzi la filosofia ottunde l’uomo impedendogli di aprirsi all’abisso. «La fede – ricorda – arriva dopo esperienze incandescenti che inceneriscono l’animo umano. Non disponiamo neppure delle parole necessarie per esprimere quella condizione particolare che è indispensabile attraversare per consentire all’anima di liberarsi dalla zavorra che la inchioda a terra, di purificarsi e ascendere in cielo». Né il pensiero né gli esercizi spirituali figli della stessa spinta razionalizzatrice potrebbero aiutarlo. «Solo in rari istanti di straordinaria elevazione spirituale – continua Šestov – nell’uomo si risveglia la vaga consapevolezza che quella stabilità che ha raggiunto con le proprie forze non è che un tributo reso alla limitatezza e all’inerzia umana ». «Il mistero della fede – conclude Šestov – rimarrà tale nei secoli e ogni tentativo della ragione di trovare un modo per rivolgersi agli uomini non porterà a nulla, perché è l’essenza stessa degli espedienti razionali e il desiderio di trovare una spiegazione verosimile per l’ignoto e l’enigmatico a escludere la possibilità di portare a termine questo compito».

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