giovedì 17 settembre 2009
Il regista è morto ieri a 91 anni. Dal cinema passò alla televisione dove creò le prime pubblicità: «Erano arte, mai volgari». Qualche giorno fa la Mostra del Cinema di Venezia aveva ospitato il suo La ragazza in vetrina, del 1960.
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«Io sono in tutti i miei film. In tutti i personaggi che hanno fiducia nei sentimenti, in quelli che si avvicinano agli altri di qualunque colore sia la loro pelle, in chi crede nel domani». Lo disse più di un anno fa Luciano Emmer, il regista scomparso ieri mattina al Policlinico Gemelli di Roma. Era un lucido giovanotto di 91 anni che se ne è andato per le complicazioni di un incidente avvenuto questa estate. Qualche giorno fa la Mostra del Cinema di Venezia aveva ospitato il suo La ragazza in vetrina, del 1960.Emmer nacque a Milano nel 1918 ma legò la sua vita e il suo cinema a Roma. Un percorso personale, fatto di scelte nette. Disse in un’intervista inedita: «Il vero cinema è stato quello muto, in bianco e nero, dopo c’è stata solo una corsa sempre più veloce verso la tv». Eppure lui prestò il suo sguardo rimpicciolito dagli indimenticabili occhialoni alla televisione e al cinema, con una sana passione per l’arte figurativa. Fondò giovanissimo con l’amico Enrico Gras una casa di produzione di documentari d’arte. Ne girò tanti dedicati ai maestri della pittura: Giotto, Goya, fino a Pablo Picasso che il regista seguì e riuscì a filmare mentre era all’opera.Fa pensare che dopo la morte di Mike Bongiorno se ne vada un altro protagonista dei pionieri che fecero la tivù ai tempi del canale unico, quando quel piccolo schermo sembrava una prateria da conquistare per chi si portava dietro maestranze e idee dal mondo del teatro, del cinema, della musica. Si sperimentava, si creava, si azzardava. Così nacque Carosello, l’archetipo pubblicitario che in dieci minuti intratteneva, divertiva, e consigliava per gli acquisti. Emmer ne è stato il padre. Perché fu lui, nel giro di una notte, racconta la leggenda, a girarne il primo. Quello dei siparietti che si aprivano uno dopo l’altro. Una sigla cult che racconta in pochi secondi un’Italia che fu, quella artigiana che sperimentava con l’arte. Per il regista Carosello non era solo pubblicità. Ne girò quasi tremila. Raccontò: «Ne feci uno con Totò e il prodotto quasi non si vedeva. Carosello era pulito perché era una cosa graziosa, mai volgare, che faceva vedere il prodotto solo nel finale». Emmer veniva da una carriera già avviata al cinema. Tantissimi documentari e soggetti di successo come Domenica d’agosto, il suo esordio nel lungometraggio del 1950, Le ragazze di Piazza di Spagna, Terza Liceo. Sferzante e sarcastico – «mia madre mi chiedeva cos’era ’sto cinema e mi consigliava di fare l’idraulico» – apparteneva all’intrepido ambiente romano del neorealismo, ma vergava le suo opere con il tono dolceamaro che sapeva di commedia all’italiana. Lui unì i due generi che fecero grande il nostro cinema.A partire dagli anni Sessanta scelse la televisione. Al grande schermo tornerà solo nel 1990 con Basta! Ci faccio un film cui ne seguono altri due, tra cui è del 2003 L’acqua...e il fuoco. Il suo ultimo lavoro, Masolino, del 2008 è un ritorno alle origini, alla grande pittura che ha sempre affascinato la sua telecamera gentile.
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