venerdì 1 aprile 2022
Dei poeti diceva: «Sono il sale della terra». Due volumi analizzano la figura della grande romanziera nella stagione dello "scrittore intellettuale"
La scrittrice Elsa Morante

La scrittrice Elsa Morante - / Ansa

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Elsa Morante, Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini. Un sodalizio che ha avuto come perno centrale l’imperturbabile Alberto e ai poli opposti i litigiosi e vitalissimi Elsa e Pier Paolo, che, nel 1974, arrivò addirittura a stroncare duramente il discussissimo best-seller della scrittrice, La Storia. Su Pasolini, a causa del centenario, stanno arrivando in libreria molti libri. Su queste colonne s’è già parlato della riedizione aggiornata di quello di Roberto Carnero, Pasolini. Morire per le idee, cui aggiungerei almeno - apparsi proprio in questi giorni - Caro Pier Paolo (Neri Pozza) di Dacia Maraini, l’attrezzatissimo Pier Paolo poeta (Castelvecchi) di Giorgio Manacorda e Pasolini personaggio. Un grande autore tra scandalo, persecuzione e successo (Interlinea) di Gian Carlo Ferretti, su un tema sempre da tutti evocato, ma mai studiato con questa sensibilità storico- critica e sicura cognizione editoriale. Approfittando di due lavori appena usciti, conviene allora confrontarsi con gli altri due componenti dell’eccellente trio. Mi riferisco a Elsa di Angela Bubba, già autrice del saggio Elsa Morante madre e fanciullo (2015), e Pasolini e Moravia. Due volti dello scandalo di Renzo Paris.

Dico subito che non entrerò nel merito dei dati biografici, culturali e critici accampati in questi due libri: tanto Angela Bubba che Renzo Paris dimostrano un controllo documentale invidiabile e conoscono assai bene quanto raccontano. Ciò che invece mi interessa è una riflessione sulla forma letteraria che hanno scelto per restituirci questa materia. Bubba ci ha consegnato a tutti gli effetti un romanzo: sulla falsariga (sono infatti gli stessi personaggi-protagonisti a parlare in prima persona) di quello che Dominique Fernandez dedicò nel 1982 a Pasolini, Nella mano dell’angelo e che ora ci viene riproposto in ottima traduzione da Bompiani. Paris, al contrario, rifugge dalla fiction e ci propone il racconto memoriale d’una stagione ormai remota (quella dello "scrittore-intellettuale"), che ebbe proprio in Pasolini e Moravia due eccezionali protagonisti, i quali «non erano d’accordo su niente».

Quello in cui vissero «è da tempo un mondo perduto. Scomparsa è la borghesia illuminata a cui apparteneva Moravia così come la piccola borghesia di Pasolini, vissuta nel mito del sottoproletariato delle borgate romane». Ma veniamo al libro di Bubba, che così inizia: «Vivere, dunque? O scrivere? Non chiedetemi di scegliere. So solo che la vita pare inaccettabile, mentre la scrittura è una tragedia di gran lunga più felice». E poi: «Rovisto tra i denti, nei reni, dentro nervi e cartilagini. Non ne cavo niente. Sento allora il mio sangue scuro. Prende a scorrere sul corpo nudo e perfetto, che tuttavia è immobile. Sono divisa e bloccata adesso, come in un bassorilievo ». E ancora: «Ho paura. Ho bisogno di avere paura. I capelli sono foglie fluorescenti. Gli occhi adamantini. I pensieri come scatole d’oro».

Chi parla è Elsa Morante: trasumanata da persona in personaggio. Ma che guadagno ne ha il lettore da tutto ciò? Il tono della voce di Elsa è già insostenibilmente alto. Le metafore risultano da subito ardite, se non parossistiche. I dialoghi hanno talvolta un che di implausibile, di esteticamente insincero: «"I poeti sono il sale della terra" sentenzia Elsa. "Danno sapore a tutto, ai frutti minimi e ai più grandi. Senza di loro non avrebbe senso far nulla, figuriamoci mangiare. Sei un dono di Dio, Pier Paolo"». Senza dire di quel cruciale dilemma iniziale: vivere o scrivere? Che tanto aveva assillato Pirandello: e che vale - più in generale - come una questione di metafisica della scrittura. Una prova, tra le molte che si potrebbero avanzare, che Elsa Morante è il mito personale dentro cui Angela Bubba, sin dalla prima righe, imbozzola sé stessa in quanto donna e scrittrice.

Del tutto diverso il caso di Renzo Paris, il quale si mette in campo come personaggio: una scelta che potrebbe apparire egocentrica, se non egolatrica, e che invece risulta come la più onesta e umile, di sicuro la più utile per i lettori. Paris è in effetti testimone di vicende rilevanti, sin da quando svolge la funzione di giovanissimo "correttore di bozze" per Nuovi Argomenti, la rivista fondata da Moravia, ma già allora coordinata da Enzo Siciliano, sulle cui pagine Pasolini e lo stesso Moravia intervengono a proposito di temi non solo letterari, ma anche civili e politici. Testimone volontariamente "invisibile", e in rapporto coi direttori ben oltre la morte di entrambi, quando è vero che l’amatissimo Moravia continua a fargli visita anche nei sogni.

In tal senso, Pasolini e Moravia. Due volti dello scandalo si configura come un libro scritto con una doppia lente (e un doppio passo): quella del ragazzo che entra in rapporto con questi «due giganti della letteratura europea» nel mentre si sta affacciando alla vita adulta e alla letteratura; e l’altra - non meno decisiva - dello scrittore maturo e importante che Paris è oggi diventato. Una doppia lente che assicura, miracolosamente, la freschezza delle emozioni (degli entusiasmi) e la consapevolezza storico-critica di quanto sia avvenuto in quegli anni memorabili, di quale incredibile stagione si sia avuto il privilegio di vivere, tanto più se contemplata nella miseria del presente. Vorrei aggiungere, però, qualcosa sul metodo. Quelle di Paris, infatti, sono pagine scritte secondo le regole delle vite parallele, nei modi d’una tradizione fertilissima inaugurata, agli albori della civiltà occidentale, da Plutarco.

Che cosa voglio dire con ciò? Che a monte del libro - sottolineata nel sottotitolo che rimanda a un eguale seppure diverso 'scandalo'- c’è la convinzione che la biografia dell’uno si illumini veramente soltanto se comparata con quella dell’altro: il primo narratore autentico (tra i pochi in un Paese di prosatori non vocati al romanzo); il secondo poeta purissimo in tutto ciò che scrive e fa (romanzi e cinema compresi). Entrambi critici e saggisti di pensiero. Entrambi scrittori, cui letteralmente l’Italia doleva. E portati a confrontarsi su questioni d’urgenza etica e civile su cui, regolarmente, si accapigliano: sul concetto di impegno; sul comunismo e il neocapitalismo; sul Sessantotto e il femminismo; sull’aborto e il divorzio; sulla lingua italiana e il cinema; «perfino sul calcio».

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