domenica 18 luglio 2010
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Fu una donna pazza e incosciente, una cantautrice di molto talento e poca fortuna, ai tempi di Laura Betti, colta e scioccante, di Maria Monti ex Gaber, di Giovanna Marini di ben altro meraviglioso spessore, fu una donna così delusa dalla sua carriera, ma combattiva e tenace come poche, a chiamarmi una sera e chiedermi se volevo cantare con le sue "Mele Verdi". «Chi sono queste "Mele Verdi?"» le chiesi. «Ragazzine di dieci-dodici anni. Le ho messe su io e sono brave, tanto brave». «E perché dovrei cantare con loro? E poi cosa?» domandai, penso correttamente. «A dire il vero – mi rispose – le cose da cantare sono ancora da scrivere». «Anche!» mi venne spontaneo e mentre lo dicevo non capivo perché stavo ad ascoltarla. «Sì, ma il progetto è bellissimo! Bisogna mettere le parole a un cartone animato francese, dolcissimo, contro ogni violenza e sai... Non è di quelli che insegnano ai bambini come essere grandi, no, è di quelli che lasciano i bambini ai loro sogni, alle loro ingenuità, alla loro età». Era il tempo che dopo l’uscita di "Parabola" mi vedevo piuttosto spesso con Guccini, Lolli e compagnia cantante. Stavo lentamente misurando cosa si potesse fare per una canzone italiana che andasse oltre Sanremo. Avrei potuto dirle di no con estrema gentilezza e dribblare la storia. E invece, per una serie di motivi inspiegabili (assurdità del progetto? Tenerezza alla sua voce? Voglia di giocare?) dissi di sì. E mi trovai infinocchiato e divertito ad ascoltare questi buffi personaggi a palla (i Barbapapà) che mettevano in scena stramberie sentimentali, che per un ex-sessantottino avrebbero dovuto essere veleno. Non lo furono. Tradussi e reinventai i testi francesi e più lo facevo, più mi rendevo conto del perché. Aveva ragione Mitzi: non si trattava di pupazzi infantili che rifacevano il mondo dei grandi (Charlie Brown, Mafalda, gli stessi Puffi) ma di un’eccezione palese e in un certo senso meravigliosa di figure dolci che erano piccole per i piccoli. Oggi mi guardo indietro e mi do ragione: la politica, la trasformazione sociale, la storia stessa impongono a chi si crede un intellettuale di non transigere, di non cadere nelle cosiddette trappole del potere rassicurante. Ma avevo scommesso allora, in pochi secondi al telefono, che i bambini non sanno niente di tutto questo, e avevo anche capito che questo cavolo di potere rassicurante non lo stavo accettando. Volevo raccontare qualcosa che desse loro serenità e non li paragonasse sempre e comunque ai grandi, ma li lasciasse in attesa, perché c’è un confine tra sdolcinamenti e sicurezze. Si sceglie poi e si sceglie da soli senza imposizioni.
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