mercoledì 5 aprile 2023
Urge coltivare i lettori (ora assenti). Per questo la Chiesa dovrebbe far capire l’importanza del libro per la vita cristiana. Vanno cambiate poi le strategie commerciali e di scelta del personale
La condivisione della Parola nella libreria delle Paoline a Bologna

La condivisione della Parola nella libreria delle Paoline a Bologna - Bologna Sette

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Ogni anno, nell’accavallarsi di notizie su case editrici cattoliche che portano i libri in tribunale, su altre che hanno bilanci in perdita o raggiungono a malapena il pareggio, ma anche su altre che risorgono (come le EDB) o fanno passi in avanti nel recupero, non si sa mai bene a che punto stanno le cose a livello complessivo. Certo, sappiamo bene – come si può leggere nel sempre prezioso rapporto su questo settore diffuso da “Rebeccalibri” il 20 maggio 2022 – qual è stata in questi ultimi anni la condizione di grave precarietà vissuta da tutta l’editoria, per l’esiziale effetto congiunto dei tre eventi che si sono succeduti (pandemia, guerra, inflazione), ma nel 2021 si era cominciato ad intravedere una piccola luce che, in termini di fatturato, si traduceva in un incremento del 13,07% per l’editoria religiosa nel suo complesso. Questo dato, tuttavia, è più da collegare ai risultati dei numerosi editori laici (490) che pubblicano libri religiosi rispetto all’avanzamento degli editori cattolici (153), che dispongono tra l’altro di meno canali di vendita e che per di più hanno librerie religiose – principale asse portante del loro sistema distributivo – che non vendono abbastanza e che spesso, non potendo sostenere i costi, si vedono costrette a cedere le armi. In sostanza, il positivo effetto rimbalzo che pur si è verificato nel 2021 e che ha consentito anche all’editoria cattolica un lieve recupero si è ridotto nel 2022.

Oltre a restare il fatto che, dal 2019 al 2021, il settore religioso ha perso 5 milioni di euro e 700.000 copie e che, se si risale al 2012, si ha ancor di più la misura complessiva dell’arretramento – dai 39 milioni di allora ai 20,8 milioni del 2021 (37,33 per gli editori cattolici; - 66,48% per gli editori laici) –, c’è l’evidente necessità di un cambiamento su vari fronti. Perché – da quel che si è visto – non basta neppure un cambio di marcia nella produzione (ammesso che la direzione sia quella giusta), ma occorre sciogliere quei nodi strutturali sul piano interno ed esterno che in più occasioni si è già avuto modo di evidenziare. Per questo, pur in presenza di buoni titoli e anche di eventi ecclesiali e culturali di per sé editorialmente favorevoli, anche in prospettiva, si fa fatica a raddrizzare la barca. Questo spiega le oscillazioni e le difficoltà correnti del libro religioso che, a fronte di un mercato tradizionale cresciuto nel 2022 in libreria del 4% (secondi dati di Arianna), nonostante il calo generale della narrativa e della saggistica (-2,3%), non sembra aver ancora creato le condizioni per fare altrettanto.

Nell’incontro informale sull’editoria cattolica tenutosi al Dicastero per la cultura e l’educazione il 16 marzo scorso, gli editori di libri e i direttori di riviste sono stati chiamati a esprimere il loro parere sulla precaria situazione attuale e sulle vie concrete percorribili per risolvere almeno alcuni dei problemi che la determinano. Penso che tutti abbiano convenuto su un punto preliminare decisivo: che all’origine di tutto c’è il grande assente, il lettore. Già i cattolici praticanti in Italia sono a livelli percentuali molto bassi; ancora meno sono quelli che leggono. Non c’è né occasionalità (1 libro all’anno), né tanto meno abitudine (2-3 libri) per la stragrande maggioranza dei fedeli, sia perché spesso manca l’istruzione e un minimo di cultura di base, necessarie non solo per leggere, ma per capire ciò che si legge, sia perché, anche quando l’istruzione c’è, non si ha alcun interesse a leggere: né libri religiosi, né frequentemente anche libri d’altro tipo (a cominciare dai romanzi, che peraltro l’editoria cattolica non produce più, diversamente dal passato). Allora è chiaro che il primo problema è di coltivare il lettore che non c’è. E in questo non si può non sottolineare una responsabilità e un impegno per tutti. Per la Chiesa, innanzitutto, che dovrebbe intervenire di più, sia a livello centrale che diocesano, per far comprendere il valore della lettura come aiuto prezioso per la vita spirituale e culturale, attraverso un lavoro capillare e continuativo di formazione.

Da questo punto di vista, un passo iniziale importante sarebbe un documento ufficiale della Chiesa che indichi nella lettura di libri una tappa essenziale del progetto formativo cristiano, perché – senza nulla togliere ai massmedia e alle tecnologie digitali, formidabili strumenti di informazione e conoscenza se usati con sapienza e consapevolezza critica – la lettura rientra a pieno titolo in quella che un tempo si chiamava la “carità dell’intelligenza”, che può fornire ad ogni credente occasioni preziose di maturazione e arricchimento. Ma le istituzioni della Chiesa potrebbero fare molto anche per intraprendere o collaborare ad organizzare significative manifestazioni d’incontro e promozione editoriale a livello nazionale (una mostra annuale del libro religioso a Roma, ad esempio; la scelta del “libro del mese”; l’istituzione di un premio) e insieme sollecitare la creazione nelle parrocchie di biblioteche parrocchiali dinamiche nell’accogliere e presentare vecchie o nuove opere di cultura cristiana.

Sarà naturalmente fondamentale in questo sforzo il coinvolgimento dei parroci e dei sacerdoti, resi consapevoli che il tempo della lettura, per sé e per gli altri, non è un lusso o un tempo assolutamente marginale rispetto ad altri impegni, ma un’oasi ristoratrice feconda da cui tutti possono attingere energie per arricchire sé stessi ed essere più maturi e attrezzati anche per servire sempre meglio anche la propria comunità. In secondo luogo, è fondamentale l’impegno delle singole case editrici cattoliche. Purtroppo, c’è spesso un deficit d’origine, nel senso che gli stessi istituti religiosi che hanno proprietà di sigle editoriali e librerie si trovano finanziariamente ed economicamente in difficoltà, e generalmente anche carenti di sacerdoti o fratelli da inserire nel personale. Questo si riflette necessariamente sui mancati investimenti, là dove ci sarebbe più bisogno di rinnovamento e rafforzamento sul piano dell'organizzazione interna, delle strutture commerciali e dei progetti da realizzare. Tuttavia, bisogna anche aggiungere che la valorizzazione e l’investimento economico sul personale laico dotato di maggiore competenza, esperienza e sensibilità, al quale affidare la direzione o responsabilità editoriali importanti – personale già interno alla casa editrice o da ricercare presso altre –, è solitamente una pratica colpevolmente trascurata, mentre invece potrebbe essere risolutiva per una più innovativa visione e programmazione editoriale, con riflessi anche sul piano commerciale.

Per di più, le case editrici cattoliche e le strutture di distribuzione a cui si appoggiano scontano a volte il fatto che le loro vendite sono limitate per gran parte alle librerie religiose, e passano molto poco o per nulla dalle librerie laiche, magari perché queste sono impermeabili a un certo tipo di produzione o perché hanno costi d'ingresso che si ritengono (a ragione o a torto) insostenibili, ma soprattutto perché non si è strategicamente capaci o non si ha la determinazione necessaria almeno di tentare di allargare il campo ai punti vendita che potrebbero essere recettivi, nel momento in cui si forniscano loro opere di qualità commercialmente spendibili. Per concludere, esistono per l’editoria cattolica oggettive problematiche esterne (livelli di lettura troppo bassi), responsabilità ecclesiali da attivare (un forte impegno educativo e comunicativo), un cambio di passo imprenditoriale delle case editrici (ripensamento della propria direzione di marcia, per il presente e per il futuro).

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