sabato 31 marzo 2018
Il blog della rivista “Vita e Pensiero” lancia l’allarme: per il libro religioso siamo all’anno zero. Dagli addetti ai lavori arrivano proposte di confronto. Ma la scarsità di lettori è un problema
Editori cattolici: «Serve una costituente contro la crisi»
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Si può ancora essere obamiani in un mondo sempre più trumpista? Marco Beck (che non per niente è poeta, oltre che dirigente editoriale di lungo corso) è convinto di sì, tanto da intitolare con uno squillante Yes, We Can il suo contributo al dibattito sull’“anno zero” dell’editoria cattolica lanciato nelle scorse settimane da “Vita e Pensiero Plus”, la newsletter del bimestrale dell’Università Cattolica. A lanciare la provocazione è stato – nei giorni in cui a Milano si svolgeva la seconda edizione di Tempo di Libri – il coordinatore della rivista, Roberto Righetto: poco incisive sul mercato e poco intraprendenti in termini di proposte e riproposte (molti titoli mancano ormai da troppo tempo dai cataloghi), le case editrici cattoliche sono chiamate a un ripensamento radicale della propria presenza sulla scena culturale italiana. Pena l’irrilevanza e, dato non meno inquietante, l’impossibilità di adottare soluzioni sostenibili anche sul piano imprenditoriale.

L’articolo di Righetto – che pure non mancava di valorizzare alcune eccezioni virtuose – ha subito suscitato una serie di reazioni ospitate sul sito rivista.vitaepensiero.it, alle quali si aggiunge oggi un’ulteriore tornata di sottolineature e considerazioni. Alcuni elementi comuni, a questo punto, iniziano ad affiorare. La difficoltà e, in sostanza, l’inutilità di considerare l’editoria cattolica come un’entità separata rispetto all’insieme della proposta culturale è ribadita con argomentazioni differenti dal direttore dell’Ares, Cesare Cavalleri (che, com’è noto, ha in forte antipatia l’aggettivo, quale che sia il sostantivo a cui si abbina), dal fondatore di Interlinea, Roberto Cicala, e dal responsabile del gruppo Morcelliana – La Scuola, Ilario Bertoletti, che insiste sul «progressivo assottigliamento della base dei lettori». Circostanza, questa, richiamata anche da Guido Dotti di Qiqajon, dal quale viene però anche l’invito a non nutrire rimpianti rispetto a un passato che è in gran parte responsabile della crisi attuale. Gli fa eco da Queriniana Alberto Dal Maso, che già lo scorso anno aveva sollevato la questione dal blog di un’altra rivista, Munera, e che adesso torna a raccomandare un investimento in termini di qualità delle proposte.

Per Armando Torno – figura storica del giornalismo culturale, ora consulente della Domenica del Sole 24 Ore – il punto dolente è proprio questo e la previsione, non incoraggiante, è che «andrà sempre peggio». Eppure non manca chi decide di scommettere su intraprendenza e ottimismo. Non si tratta solo del già ricordato Beck (che nel suo articolo insiste su un elemento di debolezza segnalato anche da altri, e cioè lo scarso coinvolgimento dei laici nei ruoli-chiave dell’editoria relgiosa), ma anche di Lorenzo Fazzini di Emi e di Giuseppe Caffulli di Edizioni di Terra Santa, che sostengono la necessità di nuove formule di incontro con i lettori e di effettivo coordinamento tra le diverse realtà di una galassia che rischia altrimenti di disperdersi in un pulviscolo di iniziative fatalmente simili l’una all’altra.

È lo stesso suggerimento avanzato, anche se in termini un po’ burocratici, da San Paolo per il tramite del suo direttore, don Simone Bruno, che si dice disposto a ospitare presso la sede della casa editrice una sorta di costituente del libro religioso (siamo o non siamo all’anno zero?). Occasioni del genere non sono mancate in questi anni, ribatte Giorgio Raccis nella sua veste di consigliere delegato del Consorzio editoria cattolica, l’importante è che d’ora in poi prevalga finalmente una volontà più convinta di ascolto reciproco e di piena collaborazione. In attesa dei prossimi interventi, tocca a Giuliano Vigini (che con la sua Storia dell’editoria cattolica in Italia, pubblicata di recente da Bibliografica, è all’origine dell’articolo di Righetto), tracciare un bilancio ancora provvisorio. Cerchiamo di intervenire sugli aspetti strutturali, dall’assetto proprietario ai canali di vendita, afferma lo studioso. Ma non dimentichiamo che l’ultima parola spetta ai lettori, pochi in Italia e ancora meno tra i cattolici. Ma senza di loro, lo sappiamo, nessun editore potrà mai farcela davvero.

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